Giffoni 2022: Morante e Costantini ai giffoner: “Qualsiasi forma d’arte è dialogo, mai monologo”
Sono strette l’una all’altra dal doppio filo della vita e dell’arte. L’una, la madre, Laura Morante, attrice e regista vincitrice del David di Donatello. Una lunga stola di talento e fascino. Elegantissima. Profondamente italiana per sponda e virtù mediterranee. Capello castano raccolto sopra silhouette leggera, nera come gli occhiali da sole che tiene su per tutta la durata dell’incontro con i giurati. E lei l’altra, la figlia, Eugenia Costantini, abito sabbia in tinta con le décolleté, lineamenti del volto dolci e riservati come il suo carattere, che fa esplodere il sole non appena sorride quando nella Sala Verde della Multimedia Valley l’ironia prende il sopravvento. Madre e figlia, appunto. Due voci un solo cuore. E una storia professionale che necessariamente si sovrappone nelle differenze che pure esistono. C’est la vie. “Sono stata ballerina professionista di danza contemporanea e non pensavo assolutamente al set” – racconta la Morante. “Un giorno la coreografa mi mandò a uno spettacolo di Carmelo Bene per invitarlo a un suo evento. Lui accettò, nacque un rapporto di amicizia e alla fine mi chiese di lavorare part-time in teatro. Da allora ho continuato a recitare con maggiore frequenza fino a lasciare la danza. Il mio passaggio alla recitazione è avvenuto per ‘dissolvenza incrociata’. Non era una passione, lo è diventata”. “Non saprei dire quando ho cominciato a recitare” – ribatte la Costantini. “Sono sempre stata sul set fin da bambina insieme a mia madre. Ricordo però bene la prima volta che mi sono sentita attrice. Avevo appena recitato in ‘18anni dopo’, opera prima di Edoardo Leo. Fui premiata con una borsa di studio che mi consentì di andare a studiare recitazione a New York. In quel momento ho preso piena consapevolezza di me e di questo lavoro”.
Toscana e figlia dello scrittore romano Marcello, Laura Morante è cresciuta con sette fratelli respirando già in casa a pieni polmoni aria di cultura e di arte. Dopo il debutto teatrale con Carmelo Bene, una luminosa carriera cinematografica che la porterà a lavorare con registi come Bertolucci, Monicelli, Virzì, Nanni Moretti, Carlo Verone, Muccino, Salvatores. “Il cinema è molto cambiato” – osserva la Morante. “Oggi ci sono molti più condizionamenti esterni, legati alla popolarità sui social e agli sponsor, e c’è grande competitività. Io non lo sono mai stata eppure questo non ha frenato la mia carriera. I registi, quando ho cominciato, sceglievano il cast con altre logiche. E il cinema d’autore aveva un ruolo decisivo. Detto questo, fare l’attrice resta per me un meraviglioso gioco che vivo con serietà e leggerezza”. Sua figlia ha un vissuto artistico differente: “Ho sperimentato la competitività, soprattutto in teatro, e ne sono rimasta traumatizzata. Sulla mia pelle ho imparato che bisogna esserlo. Questo non vuol dire essere spietati con gli altri. Significa determinazione, credere in ciò che fai”. Entrambe concordano sulla preminenza, nel cinema contemporaneo, delle tematiche sull’aspetto più autenticamente artistico. Per la Morante “la vera malattia che ha infettato questo mondo è l’eccesso di messaggi. Tutti si concentrano orami su questo. Se uno vuole inviarne uno fa un proclama. L’arte non può subire il ricatto del messaggio. Diceva Cecov: il mio dovere non è dire male di chi ruba i cavalli. Il mio dovere, da scrittore, è descrivere come vengono rubati”. Per la Costantini “il valore di un film non è espresso dal tema di cui tratta. Certo, ci sono grandi registi capaci di veicolare sentimenti che possono smuovere le coscienze. Qualcuno, però, ha confuso questa cosa coi messaggi”. Tutte e due sono d’accordo sul fatto che “il cinema è arte” e rilanciano con forza l’importanza di viverlo in sala: “Qualsiasi forma d’arte è dialogo, mai monologo. La visione di un film a casa è differente. Sei distratto e l’esperienza immersiva viene meno. Non è lo stesso pubblico e non è la stessa cosa. Il modo in cui fruiamo del cinema, cambia il cinema. L’arte è sempre in attesa di chi la riceve. Un’opera” concludono “è compiuta solo quando raggiunge, attraversa gli spettatori e torna indietro”.
La Redazione