Giffoni 2022: Alberto Boubakar Malanchino: “Non abbiate paura di chiedere aiuto”
Cinema e televisione, teatro e doppiaggio. Alberto Boubakar Malanchino ha alle spalle un bagaglio d’esperienze vastissimo, trent’anni da compiere e un mondo ancora di avventure da conquistare e da affrontare a muso duro, anche quando l’invisibilità ti travolge, “e ti ritrovi ad essere il tuo miglior amico e il tuo peggior nemico”. È una Sala Truffaut gremita di giffoner appartenenti alle sezioni Generator +13, +16 e +18, quella che accoglie l’attore, già protagonista della popolare serie televisiva “Doc – Nelle tue mani” e nella produzione Netflix “Summertime”. Nato a Cernusco sul Naviglio, in provincia di Milano, ma con radici che risiedono però in Africa – sua madre è originaria del Burkina Faso -, s’è mostrato senza alcun filtro alla giovanissima platea, concedendosi ad ogni loro curiosità: “Siete meravigliosi, sono più emozionato adesso rispetto a una replica a teatro. Ho il cuore gonfio di voi”, ha affermato.
Malanchino ha costruito la propria reputazione in più ambiti, dal cinema al doppiaggio, ma in quale di questi l’attore ritrova maggiormente la sua dimensione? Alla domanda posta da una giffoner, Malanchino non ha esitazioni: “Mi innamoro di ogni progetto che seguo. Di certo il video mi ha regalato tante soddisfazioni e mi ha reso popolare, ma ogni singola cosa che ho fatto mi ha reso felice”. Di certo però è stata dura la scalata al successo: “Arrivo da dieci anni di gavetta, una miriade di no, da chiamate dell’agente in cui, dopo un provino, mi diceva ‘Non è andata’. Fortunatamente vengo da una famiglia di lavoratori che mi ha insegnato a non avere paura quando le cose non vanno”, ha poi aggiunto: “So che questi momenti continueranno ad esserci. Alla fine sarai sempre il primo amico e nemico di te stesso. Il primo a sentirsi invisibile”.
“Ho iniziato a studiare seriamente a 19 anni e mi dicevano che ero già vecchio. Io però ho sempre cercato di mettere avanti lo studio è la gavetta. Non mi piacciono le persone che si spacciano per professionisti”. D’altronde sul set l’artista, pur riferendosi alla recitazione di mostri sacri come Giancarlo Giannini e Denzel Washington – traendo ispirazione anche dalla musica di Kendrick Lamar e Fabri Fibra, come lui stesso ammette – non si risparmia e porta in scena tanto di sé. A chi gli chiede se si sia mai sentito per davvero invisibile dice: “Sì, mi sono sentito così. Però più cresci, più ti costruisci una tua identità e più impari a lottare. Dire ‘Un giorno sarà tutto perfetto’ sarebbe scorretto, perché poi vedi com’è il mondo tutto intorno. Crescendo però ottieni strumenti che ti permettono di affrontare i tuoi scheletri nell’armadio. Come tanti mi sono sentito invisibile negli affetti, nel lavoro, nel sociale, poi però ne ho compreso le ragioni. Non è un atto di debolezza chiedere aiuto”.
L’attore in Sala Truffaut prosegue: “Quando sei nero, hai 15 anni e vai in giro per l’hinterland milanese rischi di passare come invisibile o addirittura come indesiderato. L’accettazione però passa per le scelte che fai come essere umano, e non per la percezione che gli altri hanno di te. Dopo aver fatto Doc la gente ha iniziato a riconoscermi e non sono cambiato io, ma la loro percezione. Il consiglio che do è di non pretendere che lo sguardo delle persone cambi, ma imparare a proteggersi da quello che loro potrebbero dire”. Durante l’incontro con i giffoner sono state proiettate due brevi scene del film d’animazione Disney Pixar “Lightyear – La vera storia di Buzz”, in cui Malanchino è la voce italiana di Buzz Lightyear: “È stata un’operazione emotivamente importante perché il mio primo ricordo al cimenta è stato con Toy Story 1 – racconta -. Quando mi chiamarono per il provino, e dopo aver saputo di averlo di averlo vinto, il cuore mi è esploso di gioia, ma ne ho sentito anche la responsabilità”. All’attore, tra gli applausi scroscianti, è stato poi conferito l’Explosive Talent Award.
La Redazione