Gianmarco Saurino a #Giffoni2022: “L’artista prende forma e potenza quando agisce. Occorre sempre sperimentare”
Ospite a #Giffoni2022, il giovane attore foggiano Gianmarco Saurino, volto noto di fiction popolari che hanno conquistato l’interesse e il cuore degli italiani quali “Che Dio ci aiuti”, “Non dirlo al mio capo e Doc”, ha raccontato i progetti che ha amato di più. Si tratta in particolar modo di quelli che gli hanno dato la possibilità di mettere in pratica nella vita reale ciò che un attore con i suoi personaggi interpreta. È per questa convinzione che Saurino è da molti anni volto di Anmesty Irnernational: “Non posso mai dimenticare” – racconta – “quando, sulle coste spagnole, aiutai io stesso i migranti durante uno sbarco. Ricordo che provai una sensazione inenarrabile di gioia e di commozione a Melilla, sapendo che erano sfuggiti alla morte. Ero io a piangere e non loro. Chiedevano della madre, erano straniti. Ricordo i loro nomi, le loro facce. Ciò che questa tragedia umanitaria che sembra non avere fine comporta tra i tanti mali è la sparizione dei volti e delle storie soppiantate dai numeri. Gli “Invisibili” sono loro, quelli che non hanno diritti. Essere attore vuol dire anche vivere e compiere una missione politica nel senso più alto del termine, al servizio della Polis”. Sul mestiere dell’attore aggiunge: “L’artista prende forma e potenza quando agisce. Occorre sempre sperimentare senza dimenticarsi da dove si è venuti e delle proprie radici”.
Saurino ricorda entusiasta la prima fiction che lo ha reso noto al grande pubblico: “Devo tutto a Che Dio ci aiuti in cui interpretavo il ruolo di Nicodemo Santopaolo mi ha dato la fama ed è stata un’esperienza molto formativa – racconta – “Sarò sempre grato al regista Stefano Vicario, un Maestro, che ha compreso tutta l’energia che che avevo dentro e mi ha aiutato a trasmetterla fuori con giusto metodo. Vivere quel set per me ha significato davvero imparare cosa significhi girare una fiction in maniera perfetta. Inoltre giravamo in una Terra meravigliosa come l’Umbria che ci ha accolti benissimo”. Spettatore onnivoro di cinema e televisione, per i suoi personaggi preferisce cambiare quando ne sente il momento, consapevole del rischio sempre dietro l’angolo per un attore di restare imbrigliato in un ruolo e in un personaggio: “I personaggi sono vivi fino a che cambiano dai ruoli che raccontano quelli che soffrono“.
Ai giffoner ha raccontato invece la sua esperienza in “Doc – Nelle tue mani”. “E’ stato schizofrenico raccontare il Covid in tempo reale, ci si sente investiti di una responsabilità che abbiamo scelto di sposare. Tutti i ruoli che si interpretano consegnano qualcosa. Il personaggio di Lorenzo è molto protettivo, come sono io. Proteggere qualcuno ti fa sempre stare meglio. E difendo la scelta di farlo morire, è stato un modo per omaggiare i tanti professionisti e le persone che hanno perso la loro battaglia contro questo terribile virus”. Ma l’attore non trova esistano delle differenze tra fiction e cinema: “Un ruolo è un ruolo, è come interpretare un sogno”. Ai giovani che vogliono intraprendere la carriera di attore, Saurino consiglia tanto studio e disciplina. E non manca una riflessione sul tema del Festival, invisibile. “Ci sono alcuni momenti della vita in cui mi piacerebbe essere invisibile, ma non bisogna mai dimenticarsi di chi è invisibile veramente”.
Infine, prima di ricevere l’Expolosive Talent Award, dopo una riflessione sulla violenza contro le donne – “Occorre insegnare agli uomini a rispettare tutte le donne, a non attaccare né ferirle. Su questo si gioca il futuro dell’umanità” – Saurino racconta anche la felicità di aver potuto interpretare un testo quale “Ultimi giorni di un condannato a morte” di Victor Hugo, testo che condanna la pena di morte e rivela ai giffoner il suo film preferito: è “Big Fish” di Tim Burton, “un film che racconta le bugie e a me piacciono le bugie anche se questo non si dovrebbe dire. In fondo, a noi attori, nell’economia di un racconto, si chiede un po’ di raccontare bugie”.
La Redazione