Figlia Mia – Recensione
Laura Bispuri, dirigendo: Figlia Mia, focalizza l’attenzione sul delicato tema della maternità, attraverso la contesa tra due madri, di Vittoria (Sara Casu) bambina di 10 anni, figlia di Angelica (Alba Rohrwacher) donna allo sbando, e data in adozione ancora in fasce proprio da quest’ultima a Tina (Valeria Golino), forte e responsabile, ponendo ancora una volta al centro della scena la donna, ed in particolare dell’intensa, indescrivibile connessione materna, e dell’immaginario filo che permette, in qualsiasi occasione di riconoscersi.
Un’attrazione empatica unica e assoluta, nei confronti della quale la piccola Vittoria, data anche la sua tenera età, perfettamente consapevole delle condizioni instabili della sua vera madre, non potrà opporre resistenza, finendo per accudire Angelica, in un desolante capovolgimento di ruoli, in cui lei vestirà la parte dell’adulta, mettendo a rischio la sua stessa vita, e facendo implodere, di conseguenza, Tina, materializzandone la paura, da sempre celata e tenuta a bada, di poterla perdere per sempre, completamente impotente nei confronti della richiesta di Angelica di volerla con sé.
Due donne in apparenza opposte, percorsi differenti accomunati dalla fragilità ed insicurezza d’animo, che spingerà la piccola a rivelare una grande, matura, determinazione interiore, scegliendo entrambe, poiché l’una, tutto sommato, compensa le mancanze dell’altra, suscitando la riflessione sullo spinoso argomento, relativo all’importanza del riconoscimento, facendo vacillare la classica affermazione: “i figli sono di chi li cresce”, poiché quando a prendere determinate dolorose decisioni sono le avverse circostanze, tutto si complica e cambia, perdendo di vista ogni certezza, e plausibile spiegazione e giustificazione in grado di dare un senso a tale scelta, spazzando via gli equilibri che avevano contribuito a mantenere la vicenda stabile serena.
Tuttavia, nonostante i buoni propositi del tema centrale, il risultato finale della pellicola è fortemente penalizzato dall’eccessivo degrado e arretratezza rurale rappresentato nell’ambientazione, se così si può dire, offrendo un immagine relativa all’attuale stato sociale della calda terra sarda, estremizzato, che ne penalizza, in parte, il coinvolgimento, e limitandone il confronto delle due parti in conflitto non sufficientemente incisivo.
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