Emilia Pérez, 10 curiosità che raccontano l’audacia dell’acclamato film fuori dagli schemi diretto da Jacques Audard.
Emilia Pérez, l’ultima opera del regista francese Jacques Audiard, rappresenta una vera e propria sfida alle convenzioni del cinema contemporaneo, fondendo generi e tematiche in un mosaico narrativo audace e innovativo. Il film ha riscosso un enorme successo sia alla critica che al pubblico, trionfando all’ultima edizione del Festival di Cannes con il Premio della Giuria e il Premio per la Migliore Interpretazione Femminile, assegnato collettivamente all’intero cast principale, un segno della forza collettiva e dell’energia che il film emana. Non meno importante è stato il suo trionfo agli European Film Awards, dove ha conquistato ben cinque premi, tra cui Miglior Film, Miglior Regia, Migliore Attrice Protagonista, Miglior Montaggio e Migliore Sceneggiatura, e la vittoria agli Oscar 2024 come miglior attrice non protagonista di Zoee Saldana.
Audiard, noto per il suo approccio coraggioso e per la sua capacità di spaziare tra generi, si spinge ancora più in là con Emilia Pérez. Il film, pur essendo un musical, è anche un crime drama, un ritratto psicologico e una riflessione profonda sull’identità di genere, affrontando con grande delicatezza e sincerità temi sociali di grande rilevanza.
La storia segue Rita, un’avvocatessa brillante ma disillusa, che si trova coinvolta in un caso che la costringerà a confrontarsi con se stessa e con i propri limiti e la richiesta di aiutare un boss del narcotraffico, noto come Manitas, a fuggire dal crimine rivelerà una svolta imprevista. Manitas, infatti, non cerca solo di sfuggire alla sua vita passata, ma vuole trasformarsi nella donna che ha sempre sentito di essere, e questo incontro porterà Rita a intraprendere un viaggio di metamorfosi, sia fisica che interiore, che travolgerà le sue certezze e la condurrà a una riflessione profonda sulla propria vita e sul suo ruolo nella società.
La sceneggiatura, potente e coinvolgente, è arricchita dalle musiche originali di Camille e Clément Ducol, che danno un’ulteriore profondità emotiva alle scene, e da una regia che non teme di osare, alternando momenti di grande intensità emotiva a sequenze di una sorprendente leggerezza, ma sempre con un senso di coerenza che non perde mai la sua bussola politica e sociale.
Emilia Pérez non solo offre un’esperienza visiva e narrativa unica, ma invita anche il pubblico a riflettere su temi universali come l’identità, la libertà e il coraggio di affrontare le proprie paure. Emilia Pérez non è semplicemente un film da vedere, ma un’opera da vivere, da sentire, un atto di coraggio narrativo che non ha paura di infrangere le regole e di proporre una visione del mondo che può sembrare scomoda, ma assolutamente necessaria.
Qui la RECENSIONE: Emilia Perez è una piccola rivoluzione cinematografica, la recensione
Qui la SCENEGGIATURA: Emilia Pérez: la sceneggiatura dell’audace melodramma musicale di Jacques Audiard
Di seguito dieci curiosità che raccontano l’ambizione e l’unicità di un progetto fuori dal comune.
1.Musical + crime drama: un connubio rivoluzionario
Il musical, storicamente associato alla leggerezza e all’evasione, trova qui una nuova funzione: quella di penetrare la cruda realtà del crimine organizzato e della transizione personale. Le sequenze musicali non sono solo stilizzate, ma coreografate con intenzione narrativa: ogni passo di danza, ogni cambio ritmico, accompagna uno sviluppo psicologico. In questo senso, Emilia Pérez si avvicina al concetto di “musical politico”, come Les Misérables o Cabaret, ma con un’estetica contemporanea e interculturale, in cui reggaeton e bolero convivono con l’orchestrazione sinfonica.
2.Ispirazione reale: la storia nascosta del narco e della transizione
Audiard ha dichiarato di aver attinto da articoli, testimonianze e inchieste mai completamente esplorate dai media mainstream. Tra i riferimenti ci sono figure oscure della cronaca latinoamericana, come presunti esponenti di cartelli colombiani e messicani che, dopo l’arresto o il ritiro dalla vita criminale, hanno iniziato una transizione, spesso in clandestinità o sotto falsa identità. Il film porta in superficie questa realtà rimossa, proponendo una riflessione sulle identità represse e sul potere come maschera. La figura di Emilia non è quindi un simbolo astratto, ma una sintesi umanizzata di vite vere.
3.Il primo musical di Jacques Audiard: un salto nel buio creativo
Audiard, figlio dello storico sceneggiatore Michel Audiard, è sempre stato legato a un’idea di cinema come osservazione sociale. Qui, però, si affida a forme espressive più “emotive” che “documentarie”. Damien Jalet, coreografo belga di fama internazionale, ha ideato movimenti ispirati alla danza rituale e urbana, che riflettono tensioni interiori più che spettacolarità. Ducol, invece, ha costruito le partiture come una sinfonia emotiva: ogni tema musicale è legato a un personaggio o a uno stato d’animo, con un lavoro simile a quello di un’opera lirica.
4.Girato in spagnolo: una scelta di verità culturale
Audiard ha scelto il cast e la lingua partendo dalla volontà di non “parlare sopra” al Messico, ma di farlo parlare da sé. I dialoghi sono stati rivisti da consulenti linguistici locali, e molte comparse e attori secondari sono residenti delle zone in cui il film è stato girato. L’uso dello spagnolo, pur con inflessioni diverse (messicano, castigliano, latinoamericano), contribuisce a creare un realismo eterogeneo, che riflette la diaspora latina e la multiculturalità delle identità rappresentate.
5.Cannes 2024: una vittoria collettiva che riscrive le regole
Il riconoscimento assegnato a Gascón, Gomez, Saldaña e Paz ha avuto un impatto anche mediatico, trasformandosi in un messaggio di inclusione e di rottura con la tradizione. Greta Gerwig ha sottolineato che “il film vive grazie all’interazione fra queste donne, che non solo raccontano una storia, ma la incarnano con la loro presenza, il loro canto, la loro voce politica”. Il premio è stato accompagnato da un minuto di ovazione in sala, con le quattro attrici che si sono abbracciate sul palco in uno dei momenti più emozionanti del festival.
6.Karla Sofía Gascón: una pioniera del cinema transgender internazionale
Attrice, scrittrice, e attivista, Gascón ha avuto un passato complesso: ha iniziato la sua carriera come attore in produzioni televisive spagnole, per poi affrontare il suo percorso di transizione e rinascita artistica. Il suo libro Karsia racconta questo viaggio tra dolore, trasformazione e riconciliazione. In Emilia Pérez, Gascón porta sullo schermo l’esperienza del “doppio sé”, incarnando con straordinaria fisicità la frattura tra Manitas (il boss) e Emilia (la donna rinata). La sua performance è al tempo stesso teatrale e intimista, un’interpretazione che ha già segnato un punto di svolta nella storia della rappresentazione trans nel cinema mainstream europeo.
7.Selena Gomez canta, recita, e conquista la critica
Per prepararsi al ruolo, Selena Gomez ha lavorato per mesi con coach vocali e attoriali, abbandonando lo stile da popstar per esplorare registri più drammatici. Ha collaborato alla scrittura di alcune canzoni, portando nel film le sue radici messicane e un’intimità artistica rara per una produzione così ambiziosa. La sua ballata più celebre del film, “Sin miedo”, è stata definita dalla critica come “una preghiera laica” per chi cerca giustizia e dignità. La sua interpretazione ha ricevuto standing ovation in molte anteprime internazionali.
8.Sceneggiatura audace: tra lirismo e brutalità
Il film è costruito in tre atti, quasi fosse una tragedia moderna: caduta, rivelazione, resurrezione. Ogni atto ha un tono differente: si passa dal noir denso di tensione a una sorta di telenovela epica, fino alla dimensione quasi onirica dell’ultimo segmento. Audiard e i suoi co-autori hanno usato una scrittura “muscolare” ma anche profondamente lirica, con dialoghi che si aprono a frasi simboliche e a momenti di pura poesia. In sottofondo, un filo rosso politico percorre tutta la narrazione: la giustizia sociale, il diritto all’identità, la maternità come atto radicale.
9.Location tra Messico e Spagna: realismo e simbolismo
Le scene ambientate in prigione sono state girate in veri istituti carcerari riconvertiti per il cinema, con set minimamente modificati per mantenere l’autenticità. La villa del cartello è invece un set costruito a Madrid e decorato con motivi iconografici religiosi e narco-kitsch, una sorta di “cattedrale del peccato” che si trasforma poi in luogo di preghiera e redenzione. I colori hanno un ruolo fondamentale: si passa dai toni desaturati dei primi atti a una palette floreale e solare man mano che Emilia rinasce, in un crescendo visivo quasi almodovariano.
10.Un film sociale che rifugge ogni retorica
Emilia Pérez non è un manifesto, ma un viaggio. Non cerca di “spiegare” cosa significhi essere trans, né di “denunciare” in modo didattico il sistema. Mostra, con delicatezza e potenza, come la trasformazione individuale possa diventare una forza collettiva. L’umanità dei personaggi – persino dei criminali – è trattata con uno sguardo non giudicante, quasi compassionevole. Il film pone domande etiche, ma le lascia risuonare senza imporre risposte. E così, più che un film a tesi, diventa un film di cura, un atto d’amore verso chi ha il coraggio di cambiare.
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Emanuela Giuliani