La recensione di Ema, un viaggio visionario verso la libertà e l’autodistruzione diretto da Pablo Larrain.
Un semaforo che brucia nella quiete della notte, una donna che indossa un lanciafiamme, e l’anarchia che squarcia le catene di un mondo rigido e ordinario. Con Ema, presentato a Venezia76, Pablo Larrain riesce a sorprendere e far riflettere lo spettatore, utilizzando il cinema per raccontare la sovversione del singolo contro la società – e le sue regole – come atto di purificazione. L’opera si configura come un’affascinante riflessione sulla ricerca dell’identità, sull’emancipazione e sulle sfide del vivere in un mondo che non accetta facilmente il diverso.
Ema designato, insieme a High Life e Little Joe, come Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI), ruota attorno alla protagonista Ema (Mariana Di Girolamo), una giovane ballerina che decide di separarsi dal marito Gaston (Gael Garcia Bernal) dopo aver rinunciato a Polo (Cristian Suarez), il figlio adottivo che non sono riusciti a crescere. Ema, intrappolata in un vortice di sensi di colpa, intraprende una ricerca disperata di storie d’amore che possano aiutarla a superare il suo passato, ma dietro questa apparente ricerca di redenzione, ha anche un piano segreto per riprendersi ciò che ha perduto.
L’operazione registica di Larrain è audace: Ema si sviluppa attraverso un ritmo cadenzato, segnato da una regia apparentemente distante, quasi da osservatore indifferente. Ma questa freddezza è maschera di una profondità che va oltre le apparenze, eleganza e compostezza che riescono a gestire la complessità narrativa del film. Larrain, con un lavoro di montaggio alternato che diventa sempre più ritmato e confusionario, crea un effetto di frantumazione del mondo di Ema, ma allo stesso tempo, attraverso installazioni artistiche, suggerisce un ciclo della vita, un cerchio che si ripete senza mai compiersi.
Un elemento centrale del film è il rapporto di Ema con la danza, che diventa un atto catartico ed evadente dalla monotonia di una vita ordinaria. La danza è un linguaggio segreto, un modo per Ema di esprimere la sua rabbia, il suo dolore, e la sua voglia di libertà. In questo modo, Larrain non solo racconta il conflitto interno della protagonista, ma attraverso il movimento, dà corpo alla sua lotta per affermare la propria identità, fuori e dentro la famiglia.
La crescita esponenziale del conflitto di Ema è palpabile, e con essa si dipanano le ragioni che stanno alla base della sua disintegrazione familiare. Larrain esplora la dinamica complessa tra Ema, il figlio adottivo Polo e il marito Gaston, dove ogni interazione è una battaglia emotiva e autodistruttiva. I dialoghi sono carichi di tensione, e la regia riesce a trasmettere il dolore e la rabbia di Ema, ma anche la sua voglia di ricostruire la propria vita e la sua identità nonostante la continua sfida alle convenzioni, alla figura della madre tradizionale e alla sua presenza biologica.
Con una regia asettica e una narrazione disgregata, Larrain esplora la figura di Ema come simbolo di emancipazione femminile. Il film scardina i legami familiari tradizionali, non solo nel rapporto con Gaston e Polo, ma anche nel suo rapporto con l’amore e il sesso. La ricerca della propria identità non è legata al biologico, ma all’emotivo e all’autodeterminato, attraverso un percorso di liberazione che esplora anche la dimensione del poliamore, della sperimentazione e della manipolazione emotiva.
La dicotomia tra la fredda regia e la passione dei personaggi si riflette nel contrasto visivo tra l’intensità di certe scene e la distanza che la macchina da presa mantiene nei confronti dei suoi protagonisti. Le semi-soggettive, i piani medi spezzati, e la scelta di distaccarsi dalla narrazione rendono l’esperienza visiva di Ema unica, un percorso complesso e spiazzante.
Nonostante alcune svolte narrative talvolta prevedibili, e un ritmo che può sembrare zoppicante, l’opera di Larrain non perde mai di intensità. La sua forza risiede nel messaggio che riesce a trasmettere: un inno alla libertà e alla distruzione di schemi familiari, culturali e sociali che opprimono l’individuo. Tra un’auto bruciata e un ballo liberatorio, Ema ci guida in un viaggio di trasformazione, in cui l’identità e il posto nel mondo vengono messi in discussione e ricostruiti pezzo per pezzo, in una ricerca incessante della propria essenza.
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Emanuela giuliani
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