Dostoevskij, la recensione: il male di vivere dei fratelli D’Innocenzo

La recensione di: Dostoevskij, l’opera di Fabio e Damiano D’Innocenzo nei cinema divisa in due atti con Vision Distribution.

Dopo la presentazione in anteprima mondiale alla 74ª edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino: Dostoevskij, la prima serie ideata, scritta e diretta dai Fratelli D’Innocenzo, arriva divisa in due atti nelle sale cinematografiche, entrambi distribuiti da Vision Distribution dall’11 al 17 luglio, per poi approdare su Sky suddivisa in sei episodi.

Produzione Sky Studios prodotta con Paco Cinematografica, Dostoevskij è un noir, thriller nudo e crudo ambientato in un lasso di terra non specificato, dominato da un efferato degrado sociale e umano. Una terra surreale, un limbo sospeso che molti definirebbero come ‘dimenticata da Dio’, o forse in questo caso, è più esatto, ‘persa da Dio’, dove il poliziotto Enzo Vitello, un uomo tormentato dalle inquietanti ombre di uno sconosciuto passato, è ossessionato da ‘Dostoevskij’, killer seriale che uccide con una particolare peculiarità. Accanto al corpo delle proprie vittime infatti, l’omicida lascia sempre una lettera con la propria desolante e chiarissima visione del mondo, della vita e dell’oscurità, che Vitello sente rovinosamente risuonare nella sua mente, nel suo cuore e nella sua anima.

Dostoevskij, la brutalità del male di vivere

scena film Dostoevskij

Dostoevskij, è un racconto viscerale sul malessere di vivere e sulle conseguenze di essere vivi. Sofferenza bestiale che nel primo atto viene vissuta dal punto di vista del protagonista Enzo Vitello, uomo, padre e poliziotto che ha scelto di perdere tutto incluso se stesso, e che nel secondo atto si sviluppa e amplia, inghiottendo tutto ciò che ha intorno. Un male che non fa prigionieri e non risparmia nessuno, di cui non ci si può liberare e da cui non si può fuggire, ma si può solo tentare di sopravvivere andandogli incontro indagando, studiando ed esaminando il caos della vita e l’inutilità di essa.

Uno squallido labirinto visivo ed emotivo fatto di baracche isolate, luoghi bui e sudici, muri e intonaci scrostati. Tuguri cosparsi di immondizia e ruggine di cui si sente il puzzo dell’aria carica di muffa, umidità, sangue rappreso e cadaveri in putrefazione. Case vuote, luride mai finite e occupate, in cui si va alla ricerca della fonte di quel dolore, di quella disperazione, solitudine e di quell’annichilamento la cui espiazione, a quanto pare, sta nell’autodistruzione e nella morte. Un mondo desolante e disturbante, che connette e catapulta lo spettatore nell’animo nero dei personaggi, spesso oltrepassando i limiti della sopportabilità emozionale.

scena film Dostoevskij

Il ritratto lucido di un abisso profondissimo della logica insensata che porta allo smarrimento e alla perdizione di se stessi. Un vuoto il cui senso è racchiuso negli ultimi attimi di vita, respiri e spasmi delle vittime descritti e scritti ordinatamente in stampatello nelle lettere da Dostoevskij. E’ il male di vivere che da sempre i D’Innocenzo affrontano, e che ancora una volta sfidano a muso duro guardando negli occhi, senza paura di ‘sporcarsi e puzzare di morte da cima a fondo’, quella spietata e fredda oscurità esterna specchio del terrificante, intimo aspetto borderline umano.

Lato che proprio come l’opera dei registi e sceneggiatori di La Terra dell’Abbastanza, Favolacce e America Latina, non ha ambientazioni, personaggi, confini, logica, comprensione, senso, ritmo, cronologia, pietà e perdono, ma ha solo demoni, illuminati da una flebile e illusoria speranza solo nei minuti di finali.

Dostoevskij è un’opera tanto disorientante e respingente nella sua costruzione e rappresentazione, quanto drammaticamente, magnetica, affascinante, sbalorditiva e reale nella sua brutalità. Intensa come del resto lo è Flippi Timi, il cui straordinario talento nel riuscire ad entrare nell’anima e nella mente di una figura così cupa e introversa lontana anni luce dalla sua brillante, vivace ed estroversa personalità, è innegabile e non si può che elogiare, Carlotta Gamba, nel ruolo della figlia di quest’ultimo, e ancora Gabriel Montesi e Federico Vanni, rispettivamente nuovo collega e capo di Vitello. Pedine di una spaventosa scacchiera, in cui a vincere, senza alcun dubbio, sono Fabio e Damiano D’Innocenzo.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

8


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