“Don’t look up” – Recensione: i re magi dell’era moderna in un mondo senza luce
Adam McKay porta sul piccolo schermo la sua ultima opera con protagonista un cast stellare composto da Leonardo Di Caprio, Jennifer Lawrence, Cate Blanchett, Timothee Chalamet e Mark Raylance su tutti.
Una pellicola accusatoria, costellata da un’amara ironia per una storia che parte dal disaster movie per seguirne altri aspetti, in mezzo alla folla, tra le colonne del potere.
La dottoranda Kate scopre una cometa del diametro di chilometri e chilometri e la espone al suo professore Mindy Randall, interpretato da Di Caprio, che analizzandone la traiettoria fa un’atroce scoperta: la cometa infatti si schianterà sul pianeta tra sei mesi provocando un’estinzione di massa.
I documenti dei ricercatori catturano l’attenzione del capo dell’ente di difesa planetaria della NASA, Ogletorpe, che li convince ad esporre la loro scoperta alla Casa Bianca. Peccato che la Presidente degli Stati Uniti d’America, interpretata dalla figura trumpiana di Meryl Streep, affiancata dal suo capo di gabinetto, Jason, il figlio legato alla madre da un complesso edipico, ignorino l’allarme, in quanto troppo preoccupati di perdere credibilità per le elezioni di metà mandato.
Tuttavia aiutati dai media e da un morning show condotto da una Cate Blanchett in versione femme fatale, gli scienziati riescono a farsi ascoltare dalla Casa Bianca, che decide di lanciare una missione di salvataggio prima di essere affossata da uno scandalo sessuale e lasciarsi convincere dall’imprenditore Peter Isherwell, Mark Rylance, che vuole scomporre la cometa in mille pezzi per trarne un enorme profitto. Con loo slogan dei supporter della Casa Bianca “Don’t look up” che diventa la scusa per focalizzare l’attenzione sull’odierna umanità, travolta da un marasma di superficialità, dal successo ed incapace di fermarsi ed alzare gli occhi verso il cielo.
Una pellicola satirica, che mostra l’assurdità dell’essere umano, talmente preso da sè da non accorgersi della gravità di un’estinzione di massa, considerata una banale mossa di “terrorismo” atto a distoglierlo dal vero scopo della sua esistenza: la notorietà.
Una società stucchevole e logorroica, in balia dei social e della tecnologia, dove un algoritmo è addirittura in grado di calcolare le cause della morte di ognuno, arrivando a prevedere la stupidità di una nazione intera e di chi la regge.
Un film che affonda le radici in una sordida realtà, che dopo due terzi passati a soffermarsi alacremente su questo aspetto, fino a perdere incisività invece che rafforzarla, porta in scena la chiave per vivere serenamente, il dualismo tra scienza e amore. Un alter ego che emerge prepotentemente e dolcemente dal personaggio di Chalameet, che travalica la dimensione estetica, portando in tavola il senso di una comunità, quella fede che persiste e avvicina tutti anche se il mondo sta morendo.
La nota stonata risiede nella volontà del regista di coniugare tutto questo, troppo per essere approfondito veramente, fino a dilagare in un finale che mostra i limiti della mancanza di incisività, e trascende in una deriva fine a se stessa che delinea tutta la storia, trash e paradossale, fino ad essere ridicola, ma amara al tempo stesso, perchè la vera minaccia si scoprirà non essere quello che non si riesce a controllare, ma chi ora muove il timone del mondo.
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Chiaretta Migliani Cavina
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