“Dolittle” – Recensione: un caos che regna sovrano
“Solo aiutando gli altri possiamo aiutare veramente noi stessi”
“Dolittle”, del regista Gaghan, conferma purtroppo il concetto che un bravissimo interprete non basta per decretare il successo di una pellicola. Il famoso ex “Iron Man” infatti, pur vestendo i panni del noto dottore in grado di parlare con gli animali, non riesce nell’impresa di dare vita ad un divertimento spontaneo ed accattivante, in una storia che distaccandosi dalle precedenti, mostra al pubblico le origini del personaggio. Una genesi questa, presente nel classico romanzo di Hugh Lofting “in un periodo in cui gli animali erano solo cibo, caccia e divertimento”.
In una Gran Bretagna d’epoca vagamente anacronistica, il dottore e sua moglie Lily, interpretata da Kasia Smutniak, grazie ad una sconfinata tenuta messa a disposizione dalla Regina, curano ed accolgono animali di ogni tipo. Ma la morte improvvisa di lei, mai rientrata dal viaggio in cerca del mitico albero dell’Eden, non solo chiuderà i cancelli della riserva, ma farà cadere Dolittle nel baratro dell’isolamento. Un’oscurità dal quale l’uomo riemergerà con l’arrivo di due giovani sconosciuti in cerca di aiuto che, allertandolo sulla perdita della casa e del rifugio per gli amati animali, lo spingeranno ad intraprendere una folle avventura verso il frutto salvifico di quel paradiso perduto.
E tra un pappagallo di nome Polly, lo struzzo Plimpton, una balena ed un gorilla pauroso, Robert Downey Junior carica il tono macchiettistico che lo contraddistingue fino all’eccesso e balzella nella confusione di una trama disordinata e ripetitiva. Una storia dall’allure iniziale quasi escatologico, con animali responsabili del destino dell’umanità, ma totalmente priva del benchè minimo impatto emozionale.
Con una gestualità esasperata ed un “clistere” nel posteriore di un drago che, tra gas intestinali ripetuti espelle cornamuse ed armature scozzesi, la pellicola raggiunge l’apice della disperazione, rimaneggiata a piacimento nell’editing e nel montaggio da una Universal “insoddisfatta”. Tagli e forzature che forse hanno cambiato profondamente il risultato finale, in un modo a noi sconosciuto.
Unica parte riuscita gli “alter ego” animali del dottore, nonostante l’uso smodato ed a volte grossolano della CGI. La strana coppia formata da una giraffa ed una volpe “ricercate in tre foreste diverse”, il circospetto scoiattolo Kevin, l’orso polare Yoshi che imbriglia una balena con la sua forza ed una libellula coraggiosa. Queste allegorie “a quattro zampe” rappresentano le varie sfumature di Dolittle, come l’intelligenza e la paura di mettersi in gioco “tu sei prigioniero della paura” ed a fargli da spalla insieme a loro, due villain di tutto rispetto, interpretati da Michael Sheen ed Antonio Banderas.
Un cast stellare di doppiatori in lingua originale in cui troviamo anche: Emma Thompson, Rami Malek, Ralph Fiennes e Selena Gomes, che tuttavia non riesce a salvare un film superficiale e scombinato, dove nulla è approfondito o sviluppato a pieno. Un ritmo pigro e svogliato, che tenta nell’impresa di lanciare valori morali, come il superamento del lutto e della paura e l’importanza dell’amore e dell’amicizia e poi finire per trascurarli in favore di risate assai poco esilaranti.
“Una forza incomprensibile mi spinge a seguire questa gabbia di matti” dice lo scoiattolo in una scena, forse la stessa forza che servirà agli spettatori per arrivare alla fine di questa disordinata e caricaturale avventura.
“Gli animali ci regalano la spensieratezza. Ma noi li contagiamo con le nostre nevrosi” – Silvana Baroni –
Chiaretta Migliani Cavina
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