“Dante” – Incontro Stampa: il ritratto offuscato del giovane Sommo Poeta
Dante muore in esilio a Ravenna nel 1321, e nel settembre del 1350 Giovanni Boccaccio viene incaricato di portare dieci fiorini d’oro come risarcimento simbolico a Suor Beatrice, figlia di Dante Alighieri, monaca a Ravenna nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi.
Un lungo viaggio, nel corso del quale Boccaccio oltre alla figlia incontrerà chi, negli ultimi anni dell’esilio ravennate, diede riparo e offrì accoglienza al sommo poeta e chi, al contrario, lo respinse e lo mise in fuga.
Ripercorrendo da Firenze a Ravenna una parte di quello che fu il tragitto di Dante, sostando negli stessi conventi, negli stessi borghi, negli stessi castelli, nello spalancarsi delle stesse biblioteche, nelle domande che pone e nelle risposte che ottiene, Boccaccio ricostruisce la vicenda umana di Dante, fino a poterci narrare la sua intera storia.
Pupi Avati arriva sul grande schermo delle sale italiane, il 29 settembre, con “Dante”, un film senza alcun dubbio ambizioso ispirato al romanzo scritto dallo stesso regista “L’alta fantasia”, che rende omaggio al sommo poeta raccontando le fragilità, i dubbi, le paure, i fremiti, l’amore per Beatrice, l’infelice matrimonio e l’estrema povertà di un giovane Dante Alighieri, fino all’esilio dalla sua Firenze e alla creazione dell’indiscusso capolavoro della Divina Commedia.
Un intimo e sofferente percorso quello che Avati porta sul grande schermo, e da cui sono nati i meravigliosi versi da noi tutti conosciuti, tra i più belli della letteratura italiana. Un viaggio vissuto con gli occhi e i sentimenti di Boccaccio, che ne ripercorre come detto i passi e i luoghi simbolo da Ravenna a Firenze.
“Per me questo film è speciale, dato il senso di inadempienza che ho nei confronti di Dante Alighieri per aver celebrato i suoi 700 anni in modo poco umano e caloroso, che lo ha allontanato ancora di più” – afferma Pupi Avati dando il via all’incontro stampa avvenuto in occasione della proiezione in anteprima – “Ho sempre pensato che occorresse riavvicinarlo, e finalmente ho avuto modo di leggerlo e superare l’inadeguatezza e il disamore che la scuola dei miei tempi mi ha trasmesso verso questo essere umano dall’aspetto così sgradevole. Ho potuto superare questa difficoltà proprio nel momento in cui ho deciso di acculturarmi in generale e ho incontrato ‘La vita nova’, ovvero questo diario, questo insieme di prose che lui scrive all’indomani della morte di Beatrice, e da cui ho abbondantemente attinto, così come dal ‘Trattatello’, la prima biografia che Giovanni Bocaccio scrisse su Dante Alighieri.”
“Ho fatto questo film perché ho pensato che Dante meritasse di essere risarcito e riavvicinato alle persone, soprattutto verso chi come me non l’ha amato e non si è incuriosito delle sue opere e non le ha lette da autodidatta, come dovrebbe avvenire dal momento che, a mio avviso, bisogna approcciarsi ai classici individualmente, e in particolare a questo genio assoluto, misterioso e indescrivibile dalla smisurata onniscienza e poetica” – spiega il regista – “Ma come lo avvicini? Forse smettendo di giocare a fare gli adulti e tornando a rapportarci con la leggerezza e la capacità poetica di un tempo, di quando eravamo ragazzi, dal momento che ognuno di noi ha attraversato un periodo, intorno all’adolescenza, poetico con l’idea del ‘per sempre’. Io spero che questo film venga visto perché penso sia inutile di grande ambizione, perché vuole e pretende di esserlo.”
“Tra me Sergio c’è stato un connubio particolare” – svela Avati in merito a Sergio Castellitto volto di Giovanni Boccaccio – “La nostra conoscenza della materia, perché Sergio si è preparato per interpretare Boccaccio leggendo e studiando non è arrivato disinformato, mi ha consentito di chiedergli di girare senza provare, e per la prima volta nella mia vita ho girato senza provare, ed è stato meraviglioso.”
La parola passa ai protagonisti Sergio Castellitto interprete di Giovanni Boccaccio, Alessandro Sperduti nel ruolo del giovane Dante, e Carlotta Gamba di Beatrice.
“‘Nel mezzo del cammin di nostra vita mi incamminai in una selva scura…”, è questo verso che mi ha spinto e interessato, al di la della difficoltà e l’impossibilità di raccontare Dante, perché Dante è irraccontabile e nessuno ha mai osato fare un film su di lui e tanto meno sulla Divina Commedia, ma non per il costo che avrebbe, bensì perché è l’unico poema rimasto parola e per conoscerlo puoi soltanto leggerlo o impararlo a memoria” – dice Sergio Castellitto – “La trovata narrativa che Pupi ha trovato per raccontare la storia attraverso il viaggio di un altro gigante, ossia Boccaccio, il quale compie un gesto straordinario, quasi di amore filiale e di sconfinata umiltà. L’umiltà è un sentimento che viene quasi sempre frainteso perché viene considerato una sottomissione, una fragilità, invece è un sentimento granitico dal momento che ci vuole molto carattere a saper chinare la testa nei confronti di chi è più grande di te, ci vuole molta personalità.”
“Facendo riferimento sempre a quel verso, che tutti noi abbiamo conosciuto e studiato per forza, così come quel profilo professorale, Pupi nel film ci racconta che è stato cacciato, esiliato, che non ha potuto godere dell’amore della sua vita, che è stato povero e soldato, quindi ha anche ucciso delle persone” – aggiunge Castellitto – “Gesti, comportamenti ed episodi questo che potrebbero appartenere ad ognuno di noi. Chi non ha vissuto nella sua vita la sensazione di esilio, di essere stato estromesso da qualcosa? Oggi quando parliamo di depressione parliamo di buio nella mente, e quindi di selva oscura. La grandezza del poeta e quella di far si che tutta la sofferenza, la fragilità della propria esistenza si ricomponga in qualcosa di straordinario che è l’opera, per questo i poeti sono gli unici che ci possono salvare, gli unici ad essere veramente moderni, perché loro estraggono qualcosa che viene da questo tunnel nero.”
“Anche io partivo da un’idea di Dante distante che non sentivo vicino, e quando Pupi mi ha proposto di interpretarlo, ho finto una certa tranquillità. La vedevo una cosa così lontana” – afferma Alessandro Sperduti – “Più volte ho cercato di approfondire l’universo sconfinato di Dante, facendo presente anche a Pupi che era veramente troppo, e lui mi ha accompagnato dicendomi di concentrarmi sull’umanità di questa persona e il bello è stato proprio quello di rileggere la Divina Commedia con un punto vista diverso, vedendo un ragazzo che ha delle difficoltà nell’approcciarsi e che l’istruzione non spiega. Mi sono avvicinato a Dante con un’idea differente e ora credo che sia rivoluzionario, poiché non ha paura di mostrare la sua sensibilità, è un’artista che non si poneva alcun limite nel far vedere la propria fragilità. E’ un concetto quello dell’essere noi stessi che non è scontato e che spesso si perde. Dante non aveva limiti in questo senso 700 anni fa, lui metteva a disposizione di tutti ogni parte di se stesso.”
“Sentendo parlare Pupi mi rendo conto di quanto Dante, Beatrice e Boccaccio abbiamo dentro Pupi, che è un uomo legato alla propria passione per quello che fa” – aggiunge infine Carlotta Gamba – “Ringrazio Pupi per aver dato a Beatrice una dignità. Con il tempo è diventata una figura eterea, immaginifica, Pupi invece ha resa questa donna molto reale, consapevole della sua vita, dell’amore. E’ stato un atto meraviglioso e bellissimo per me interpretarla.”
Un film come detto coraggioso, ma che tuttavia, nonostante l’emozione suscitata dagli immortali versi, quello che ne vien fuori è il ritratto confuso di Dante Alighieri, che si perde nei tanti flashback che riportano e sottolineano i momenti importanti che ne hanno segnato la vita.
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Emanuela Giuliani