Crimes of the Future, la recensione: la chirurgia è il nuovo sesso

La recensione di Crimes of the Future, il nuovo film di David Cronenberg con Viggo Mortensen, Léa Seydoux e Kristen Stewart.

A distanza di otto anni dal suo ultimo film, Maps to the Stars, David Cronenberg, il maestro indiscusso del genere body horror, torna sul grande schermo con Crimes of the Future, una nuova, inquietante e viscerale opera che si inserisce perfettamente nel solco della sua carriera. Cronenberg, che ha influenzato il cinema con i suoi lavori pionieristici come Shivers (1975), Rabid (1977), The Brood (1979) e il celebre La mosca (1989), torna a esplorare i temi che lo hanno reso un autore di culto, spingendo ancora una volta i confini del corpo umano e della tecnologia, ma con un approccio ancora più disturbante e provocatorio. Crimes of the Future non è un remake del film omonimo del 1970, ma piuttosto una riflessione evolutiva e distopica su quella che potrebbe essere la nostra direzione, un futuro in cui la tecnologia e l’evoluzione umana vanno di pari passo, ma in modo perverso e autodistruttivo.

Presentato in anteprima al 75° Festival di Cannes, Crimes of the Future arriva nelle sale italiane il 24 agosto grazie a Lucky Red. La scelta di Cronenberg di affidare ancora una volta il ruolo di protagonista a Viggo Mortensen, dopo il sodalizio che li ha visti insieme in La promessa dell’assassino (2004), A History of Violence (2005) e A Dangerous Method (2011), è un chiaro segnale della continua esplorazione del regista della psicologia umana e dei suoi limiti. Mortensen interpreta Saul Tenser, un uomo capace di sviluppare organi nuovi nel suo corpo, un fenomeno che affascina e spaventa al contempo. A supporto del cast, due attrici straordinarie: Léa Seydoux, nei panni di Caprice, una chirurga che trasforma il corpo del suo compagno in un’opera d’arte vivente, e Kristen Stewart, che interpreta Timlin, un’investigatrice ossessionata dal Registro Nazionale degli Organi, un’agenzia che catalogata le nuove mutazioni e le mutazioni corporee che caratterizzano questa nuova era dell’umanità.

La trama si svolge in un futuro imprecisato e allucinante, dove le conseguenze devastanti dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento hanno portato a una mutazione radicale nel corpo umano. Gli esseri umani sono ormai incapaci di provare dolore, se non nel sonno, e le loro carne è in costante trasformazione, incapace di mantenere una forma stabile. Questo nuovo stadio di esistenza, sebbene sia segnato dalla soppressione del dolore fisico, non è certo una benedizione. Anzi, la mancanza di sofferenza fisica porta con sé una perversione: il corpo diventa una tela da rimaneggiare, da mutare costantemente, da “migliorare” attraverso operazioni chirurgiche, come quelle praticate da Caprice e Saul.

Il film si concentra sullo sfruttamento di questa nuova realtà per creare performance artistiche, dove il corpo diventa un campo di battaglia, un oggetto di osservazione, smembrato e rimontato in una sorta di teatro della crudeltà. Queste operazioni, che vanno al di là della medicina e della chirurgia, assumono una funzione estetica, trasformando l’arte e la scienza in spettacolo per una società ormai abituata a consumare l’insostenibile. Il pubblico assistendo a queste operazioni prova un piacere perverso, un’ossessione per la bellezza del corpo e per il suo radicale, eccessivo, cambiamento. La frase “La chirurgia è il nuovo sesso”, pronunciata da uno dei protagonisti, riassume perfettamente l’idea del film, in cui il corpo mutilato diventa oggetto di desiderio, non più un qualcosa da proteggere ma qualcosa da esplorare e trasformare.

In questo contesto, le performance chirurgiche di Caprice e Saul rappresentano non solo una critica al consumismo e alla spettacolarizzazione della sofferenza, ma anche una riflessione sulle nostre ossessioni moderne con il corpo, la perfezione e la trasformazione. Il piacere derivante dall’assistere alla deturpazione del corpo umano diventa un modo per soddisfare una curiosità morbosa, una ricerca continua di stimoli viscerali, una necessità di provare emozioni estreme in un mondo che ha perso ogni contatto con la natura e la verità dell’essere umano. Questo mondo, dove la carne e la mente si intersecano continuamente, si presenta come una versione distorta del nostro presente, dove l’involuzione dell’essere umano è un inevitabile risultato della sua ricerca incessante di progresso, senza più limiti morali, etici o razionali.

Cronenberg non risparmia il pubblico nemmeno nelle scene più disturbanti, che sono una riflessione sul concetto di “bellezza interiore”, ora ridotta a un concetto vuoto e manipolato. Il film critica duramente l’idea che la bellezza possa essere “esibita”, che la nobiltà dell’animo umano possa essere ridotta a un oggetto materiale, a qualcosa da manipolare e da mostrare come un pezzo di carne. In Crimes of the Future, la bellezza e l’integrità si dissolvono in un mondo dove l’evoluzione è sinonimo di involuzione, un’umanità che cede all’autodistruzione in nome di una presunta perfezione scientifica e chirurgica.

Le riflessioni che Cronenberg solleva sono profonde e inquietanti, e invitano a interrogarsi sul futuro dell’uomo, sull’impatto della tecnologia sulla nostra evoluzione, e sul prezzo che pagheremo per inseguire un progresso che potrebbe portarci oltre ogni limite umano. La distopia presentata nel film, benché estrema, non sembra poi così lontana dalla realtà che ci circonda, dove l’ossessione per il corpo perfetto e il controllo della natura attraverso la tecnologia stanno già trasformando la nostra società in modi irreversibili. Crimes of the Future è quindi un film che, sebbene crudo e disturbante, è anche una riflessione necessaria sulle direzioni pericolose che la nostra civiltà potrebbe prendere, un monito che, attraverso il suo body horror, ci invita a pensare a quanto, in nome del progresso, siamo disposti a sacrificare della nostra umanità.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

8


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