Il grande regista torna dall’esilio con un thriller romantico agrodolce e cinico, un film leggero ma tutt’altro che malfatto
Fincher ha diviso, Mann e Polanski hanno deluso, Friedkin quasi, Allen invece convince con umiltà, con leggerezza, con il non prendersi sul serio. Dei maestri venerabili il suo film era quello più atteso perché prova di un ritorno dopo il terribile ostracismo subito, e Coupe de Chance, total french naturalmente, è un suo film minore ma non per questo mediocre, quanto aggraziato nel suo muoversi come un passero impertinente e imprevedibile.
Lui, lei, l’altro in una Parigi diversa dal solito
Per Fanny (Lou de Laâge) la vita è una sorta di gabbia dorata. Giovane esperta d’arte, dopo un primo matrimonio disastroso, ha trovato conforto e sicurezza nel legame con il nuovo marito, il ricco e perfezionista Jean (Melvil Poupaud). Jean è ricchissimo, anche se i proventi della sua fortuna sono poco chiari, è un marito affettuoso, premuroso e ricco di attenzioni. Anche troppe, di fatto ha trasformato Fanny in una sorta di bambolina, una sposa trofeo che non ha quasi più controllo sulla sua vita.
Geloso, possessivo dietro la patina di zucchero, la costringe in interminabili pranzi, cene e vacanze con i suoi conoscenti snob e pretenziosi. Fanny però per caso ha reincontrato Alain (Niels Schneider) suo ex compagno di liceo, che in quella Parigi priva di emozioni, risveglia in lei spirito d’avventura e di sentimenti nuovi. Quando Jean però si insospettisce per il cambiamento d’umore e d’abitudine della moglie, svelerà un volto sorprendente e oscuro.
Coupe de Chance è una sorta di variazione sul tema dell’imprevedibilità e della casualità (nonché causalità) che per Allen hanno sempre contato più di tutto il resto. Naturale il paragone sia con Match Point, che con Crimini e Disfatti ed infatti l’autocitazione è ovunque per quanto garbata in questa commedia che sale piano piano di tono, segue un andamento lineare, come i binari di quei trenini che Jean colleziona. Poi però sul finale ecco che tutto deraglia verso l’imprevedibilità, fino all’epilogo sorprendente, semplice ma geniale nella sua realistica follia. Coupe De Chance è un film magari piccolo, ma non per questo mediocre, anzi è salutare seguire questa Parigi diversa dal solito, quest’atmosfera indefinita, opprimente nel suo grigiore borghese, nel fustigare ognuno dei protagonisti.
Un film piccolo ma in cui si ride con serietà
Jean di Poupaud, è un villain raggelante perché camaleontico, yuppie ripulito, gangster nell’animo, è il simbolo della possessività maschile nel senso più storicamente eterno, ma anche modernamente calata nel presente capitalista. Di base è il provider sognato pure oggi su Instagram dalle donne, è il Principe Azzurro che nasconde l’animo di Barbablù. Ma non si riesce ad odiarlo completamente per la sua astuzia, intraprendenza, per la sua mancanza di ipocrisia nel voler avere tutto ciò che vuole.
La Fanny della de Laâge, piccola borghese che sogna l’amore e l’avventura, è in realtà il vero personaggio squallido della vicenda, ma Allen è così superbo che riesce a farcela amare, quando in realtà è capace di mentire a sé stessa e agli altri ad ogni occasione. L’unico veramente innocente è il povero Alain di Schneider, innamorato pazzo di un fantasma del passato, nonché la madre di lei (Valérie Lemercier), indagatrice per caso, donna assennata ma audace.
Più che un giallo è l’omaggio al genere nel senso più classico, anche più divertito per come ci illumina sulla banalità del melodramma narrativo, sulla solita alta borghesia che mette gli averi e il possesso davanti a tutto. L’artista è invece condannato alla sconfitta, in virtù di una purezza che è malposta. Coupe de Chance è elegante formalmente, volutamente rigido e algido nella messa in scena, tutto in funzione di quel finale, di quel momento, di quel colpo di fortuna magistrale, da vecchio sapiente del cinema che è ancora tra noi e non vuole mollare.
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Giulio Zoppello
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