Come un gatto in tangenziale- ritorno a coccia di morto – Recensione: ritrovare il senso della comunità camminando su una voragine

“Come un gatto in tangenziale- ritorno a coccia di morto” – Recensione: ritrovare il senso della comunità camminando su una voragine

Li avevamo lasciati su una panchina di piazza Cavour, ed ora, a distanza di tre anni dalla fine della loro relazione, durata per l’appunto come un gatto in Tangenziale, ecco che Monica, Paola Cortellesi, e Giovanni, Antonio Albanese, si ritrovano ad essere protagonisti di una nuova storia, diretta come la precedente da Riccardo Milani, e scritto a sei mani assieme a Giulia Calenda, Furio Andreotti e alla stessa Cortellesi.

“Non siamo partiti con l’idea di fare un sequel, questa storia è nata durante il lockdown” – svela Paola Cortellesi ancora al fianco di Antonio Albanese per la regia del compagno Riccardo Milani“Raccontiamo un paese che si vuole ricompattare”.

“Come un gatto in Tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto” nonostante siano passati pochi anni, tutto è cambiato soprattutto a causa della pandemia che tuttavia non ha scalfito la costante ed inesauribile voglia, della comunità, di continuare a sorridere e di guardare avanti per ricostruirsi. Una giusta dose di ironia la cui leggerezza lascia spazio come sempre a profonde riflessioni.

Ecco allora che Monica dopo essere finita in carcere per colpa delle gemelle, malate di “shopping compulsivo”, decide di giocarsi il tutto per il tutto al fine di evitare che suo figlio Alessio, di ritorno da Londra dove era andato a lavorare, la trovi dietro le sbarre. Su consiglio delle sue compagne di cella Monica chiama così “quella specie di ministro” Giovanni, il quale riesce a convertire la sua pena in un aiuto sociale all’interno di un convento.

Luogo questo alquanto ostile a Monica, soprattutto per una serie di preconcetti legati alla superstizione secondo cui le suore portano sfortuna, e che lei sarà costretta di conseguenza ad affrontare, in particolare con l’esageratamente pio Don Davide, dal volto di Luca Argentero, alla guida dell’istituto religioso. Come se non bastasse, a chiudere il cerchio, il nuovo polo culturale che Giovanni sta per inaugurare insieme alla sua nuova fidanzata, la cacciatrice di sponsor interpretata da Sara Ferdelbaum, situato proprio accanto al Convento.

E tra gag, tormentoni, risate sincere ed emozioni, Milani lancia una serie di osservazioni riguardante il sociale e sui centri, che offrono ad ogni individuo la possibilità di riscoprire lo stare insieme, e sottolineando quel degrado economico – culturale che separa la gente di periferia da coloro che ignorando la reale situazione predicano bene e razzolano male.

Il qualunquismo di Monica, emblema di quella parte della società convinta che “con la cultura non se magna”, fa da contraltare al pragmatismo ed alla voglia di riscatto di Giovanni, il quale invece crede fermamente nella possibilità di cambiare il mondo.

Un film serio ma faceto in grado di trattare temi sociali dal notevole peso, dai preti militanti, le case occupate alla violenza sulle donne, con la possibilità di un punto d’incontro come tra Coccia di Morto e Capalbio, tra ‘Bastoggi’, un residence posto in uno dei quartieri più malfamati di Roma, e la cultura, in cui forse basterebbe sapersi ascoltare azzerando le distanze.

Un gruppo colorato e vivacissimo, arricchito da nuovi e vecchi personaggi ed in cui Monica e Giovanni sono le figure chiave, poiché invece di diffondere odio, diffondono ascolto e attenzione, e rappresentano la luce a cui aggrapparsi in un paese che si sta spaccando.

Un viaggio in un paese e in una sinistra convinta di salvare il popolo, ma oramai totalmente incapace, anzi smarrita tra radical chic rampanti, frasi fusion vuote di significato e un sistema obsoleto che merita solo di essere accerchiato.

“La distanza sociale tra me e te non è un metro, ma una voragine”

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Chiaretta Migliani Cavina

Il Voto della Redazione:

7


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