La recensione di Cold War, l’intenso film diretto da Pawel Pawlikowski vincitore del premio Oscar per il film Ida.
Vincitore nel 2015 del Premio Oscar per Ida, Pawel Pawlikowski torna a sorprendere il pubblico con Cold War, un’opera cinematografica che, pur nell’apparente semplicità, riesce a raccontare una delle storie d’amore più struggenti e dolorose degli ultimi anni. Girato in magnifico bianco e nero, il film esplora le difficoltà di un amore impossibile in una Polonia stalinista durante gli anni della Guerra Fredda, offrendo una riflessione profonda su libertà, speranza e destino. Cold War ha ricevuto il premio per la Miglior Regia al Festival di Cannes 2018 ed è stato anche candidato come Miglior Film Straniero agli Oscar 2019, rappresentando con orgoglio la Polonia. Un riconoscimento che rende giustizia alla maestria con cui Pawlikowski riesce a raccontare una storia universale, ma fortemente radicata in un contesto storico e politico particolare.
Al centro della storia ci sono due protagonisti, Wiktor e Zula, interpretati magistralmente da Tomasz Kot e Joanna Kulig, che incarnano due figure tanto incompatibili quanto irresistibilmente attratte l’una dall’altra. Wiktor, un musicista di città, intellettuale e misurato, è in cerca di libertà, ma la sua visione del mondo è profondamente influenzata dalla sua esperienza culturale e politica. Zula, una giovane cantante di provincia, sfacciata e affascinante, è costretta a indossare una maschera per sfuggire alla miseria della sua condizione, fingendosi contadina per entrare a far parte di un gruppo folcloristico. La loro storia è il cuore pulsante di un film che non è solo un racconto d’amore, ma una riflessione sull’incapacità di sfuggire al proprio destino, sulla lotta per la libertà individuale e sulle contraddizioni del desiderio umano.
Quello che lega Wiktor e Zula è un amore che non può essere, ma che è impossibile da spezzare, un continuo separarsi, rincorrersi e riprendersi. Pawlikowski racconta questo legame attraverso immagini essenziali, nitide e, allo stesso tempo, crude e potenti, capaci di coinvolgere lo spettatore con una forza che trascende le parole. Ogni fotogramma è costruito con una cura meticolosa, in modo tale che la trama si svela non solo attraverso il dialogo, ma anche attraverso gli sguardi, i gesti e le silenziose emozioni dei protagonisti. Questo approccio rende Cold War un’esperienza visiva e sensoriale, dove ogni scena è come una poesia in immagini, priva di inutili fronzoli, ma carica di significato.
Il film segue le tappe di un viaggio che va da Varsavia a Berlino, dalla Jugoslavia a Parigi, un percorso geografico che riflette altrettanto il viaggio interiore dei protagonisti, costretti a confrontarsi con le proprie scelte, le proprie libertà e le proprie paure. Ma è proprio in queste città, attraverso la musica e l’amore, che emerge la lotta tra la passione e l’impossibilità di vivere il proprio desiderio in un contesto politico oppressivo. Il costante spostamento da una città all’altra diventa una metafora delle difficoltà che Wiktor e Zula affrontano nel cercare di vivere il loro amore in un mondo diviso, dove le frontiere politiche e ideologiche sembrano avere la meglio su ogni altro desiderio.
L’amore tra Wiktor e Zula è profondamente ispirato dalla vicenda dei genitori di Pawlikowski, che nel 1989, poco prima della caduta del Muro di Berlino, segnarono la fine di una relazione altrettanto tormentata e drammatica. Il regista stesso afferma che, pur avendo meditato per quasi un decennio su come raccontare la loro storia, ha scelto di non parlarne direttamente, ma di dare vita a una rappresentazione più universale. “Erano tutte e due persone forti e meravigliose, ma come coppia un disastro totale”, dice Pawlikowski, con un’introspezione che traspare anche nel film, dove i protagonisti diventano l’emblema di una generazione che lotta per la propria libertà personale, ma che è costretta ad affrontare la dura realtà del contesto storico in cui vive. Il film, pur trattando temi intimi e personali, si fa portavoce di una riflessione collettiva sulla condizione umana, sulla difficoltà di trovare un equilibrio tra desiderio e realtà.
La colonna sonora gioca un ruolo fondamentale nel film, non solo come accompagnamento emotivo, ma come vero e proprio protagonista. Le note di musiche straordinarie, tra cui la celebre melodia di I Loves You Porgy di George Gershwin, suonata al piano da Wiktor per Zula, arricchiscono ogni scena, amplificando l’intensità delle emozioni e dei momenti cruciali della storia. La musica non è solo un sottofondo, ma un elemento che fa vibrare ogni scena, esaltando i dettagli più sottili della vicenda, come una presenza silenziosa ma onnipresente che parla direttamente al cuore dello spettatore. L’uso della musica nel film non si limita a un semplice elemento decorativo, ma diventa il mezzo attraverso cui i protagonisti esprimono ciò che le parole non riescono a dire, creando una connessione emotiva profonda con il pubblico.
In Cold War, Pawlikowski offre una regia raffinata e una narrazione cinematografica impeccabile, dove ogni sfumatura ed emozione si fa palpabile e viva. Gli sguardi dei protagonisti, i loro silenzi e le loro espressioni trasmettono una profondità emotiva che affascina e commuove. Ogni gesto, ogni silenzio, ogni parola non detta è un mondo a sé, in grado di evocare un sottile brivido che percorre la pelle dello spettatore, creando un’esperienza unica e indimenticabile. La regia di Pawlikowski è una testimonianza di come il cinema possa essere un mezzo potentissimo per raccontare storie universali, capaci di attraversare il tempo e lo spazio.
In conclusione, Cold War è una pellicola che incanta, commuove e fa riflettere, riuscendo a coniugare la bellezza della forma con la potenza dei contenuti. Un film che non solo racconta una storia d’amore impossibile, ma che esplora le difficoltà di un’epoca segnata dalla Guerra Fredda, offrendo uno spunto profondo per riflettere sulla libertà, sull’amore e sul destino. Un vero capolavoro che dimostra ancora una volta il talento straordinario di Pawlikowski nel creare opere che vanno ben oltre la semplice narrazione, elevando il cinema a una forma d’arte capace di toccare l’anima e di lasciare un’impronta indelebile nel cuore dello spettatore.
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Emanuela Giuliani
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