La recensione di Civil War, lo sconvolgente road trip movie di Alex Garland nei cinema dal 18 aprile con 01 Distribution.
Nelle sale cinematografiche italiane dal 18 aprile distribuito da 01 Distribution: Civil War, scritto e diretto da Alex Garland, è uno di quei film la cui visione ti colpisce a tal punto da farti riflettere per giorni. Un film che a differenza di altre pellicole, non si dimentica facilmente, che sconvolge, travolge e ti segna nel profondo.
Un vortice di disarmante brutalità che Garland costruisce in modo sconcertante attraverso i personaggi, i dialoghi, i suoni e le potenti immagini potenti difficili da digerire, voce e testimonianza lucida, tangibile e feroce di un presente che non lascia spazio a speranze e illusioni. Un’escalation di violenza che sotto i nostri occhi ha purtroppo oramai assunto l’aspetto dell’inarrestabile, che giorno dopo giorno sta inghiottendo il mondo intero, e conducendo verso l’annientamento.
Civil War, lo specchio di una drammatica realtà
Civil War, come definito dallo stesso regista, è un road trip movie su un gruppo di giornalisti che rischiamo la propria vita per documentare la guerra civile in un America completamente al collasso. Un viaggio estremo il loro tra le città devastate, con l’obiettivo di arrivare a Washington DC per porre una sola domanda al Presidente, interpretato da Nick Offerman, prima che le così dette forze secessioniste, guidate dal Texas e dalla California, contrarie al suo piano di assolutismo, lo catturino.
Fotografando il decadimento politico e morale degli Stati Uniti in un crescendo di adrenalina e intensità, i giornalisti sono parte integrante della storia che ne mostra le emozioni, le paure e il relazionarsi con ciò che sta accadendo. Facendo intelligentemente vivere ai protagonisti tutto attivamente, Garland offre allo spettatore un’esperienza cinematografica drammaticamente immersiva e spaventosamente vera sulla prospettiva di un futuro politico-sociale-militare inquietante sempre più reale e concreto, con al centro della scena in questo caso l’America.
Quell’America dai grandi ideali, in cui a risuonare è lo slogan ‘Make America Great Again’ citato da Regan nel 1980, da Bill Clinton nel 1992, e da Donald Trump nel 2016, e dietro cui si celano ogni sorta di corruzione, azioni illegali e prepotenze che in Civil War implodono ed esplodono spazzando via ogni maschera. Ed è proprio qui che entra in gioco la fondamentale presa diretta dei fotoreporter Lee, dal volto di Kristen Dunst, Joel di Wagner Moura, Sammy di Stephen McKinley Henderson, e Jessie di Cailee Spaaney.
Un vaso di pandora le cui ipocrisie e nefandezze vanno ben oltre i confini statunitensi, dove alla domanda: ‘Tu a chi appartieni?’, c’è l’agghiacciante riposta: ‘Sono un uomo che vuole uccidere un altro uomo che sta sparando perché vuole uccidere me”, dal momento che in guerra, a lungo andare, non esistono più fazioni, Repubblicani o Democratici colpevoli in egual misura, ne motivazioni o spiegazioni, ma solo la sopravvivenza nei confronti di una violenza che ha preso insensatamente il sopravvento.
Un racconto forte che scuote scandito dal ritmo di una colonna sonora che fin dai primi minuti ne sottolineano ulteriormente i silenzi e la disarmante crisi e distruzione. Civil War, come detto, non è solo un avvertimento, ne un film distopico, è la premonizione di un aberrante presente ai cui a quanto pare nessuno sembra opporsi e che sta per inghiottire ogni cosa.
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Emanuela Giuliani
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