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Chiamami col tuo nome, la recensione: una riflessione intima sull’amore, la memoria e la crescita personale

La recensione di Chiamami col tuo nome, il film diretto da Luca Guadagnino con Timothée Chalamet e Armie Hammer.

“Chiamami col tuo nome”, diretto da Luca Guadagnino e tratto dal romanzo omonimo di André Aciman, è un film che ha conquistato sia il pubblico che la critica grazie alla sua delicata rappresentazione di un amore che nasce nel cuore dell’estate, in un angolo idilliaco della campagna italiana. Il film si distingue non solo per la storia d’amore omosessuale che racconta, ma soprattutto per la sua capacità di esplorare temi universali come la crescita, l’identità e la memoria, il tutto ambientato in un contesto visivamente incantevole e emotivamente travolgente.

Il cuore pulsante del film risiede nella sceneggiatura, scritta dallo stesso Luca Guadagnino insieme a James Ivory, che sa dosare con maestria i tempi della narrazione. Non c’è fretta nel raccontare l’amore tra Elio (interpretato da Timothée Chalamet) e Oliver (Armie Hammer), ma piuttosto un graduale, quasi impercettibile, avvicinamento che riflette la natura stessa dei sentimenti dei protagonisti: incertezze, desideri non detti, paure di esplorare l’ignoto. Il film non si limita a raccontare una storia d’amore omosessuale, ma va oltre, esplorando l’intimità di un’esperienza universale che segna profondamente chiunque vi si confronti.

La narrazione è caratterizzata da una lentezza contemplativa, che non è mai pesante, ma anzi riesce a trasmettere una sensazione di sospensione temporale. Questa scelta permette al pubblico di entrare in sintonia con il tormento e l’euforia dei protagonisti, immergendosi nella loro realtà emotiva e psicologica, che diventa centrale nella trama.

Il film vive anche grazie alle straordinarie performance dei suoi attori protagonisti. Timothée Chalamet offre una delle sue interpretazioni più mature e complesse nel ruolo di Elio, un ragazzo di 17 anni che si trova a confrontarsi con la propria identità e i suoi sentimenti. Chalamet è in grado di trasmettere l’intensità del suo personaggio in maniera straordinaria, mostrando, con sfumature sottili, l’evoluzione di Elio da una timidezza iniziale a una vulnerabilità sconvolgente. La sua recitazione è potente proprio perché riesce a rendere tangibili i conflitti interiori del personaggio, rendendolo universale nella sua ricerca di amore e comprensione.

Armie Hammer, nei panni di Oliver, completa il duo protagonista con una performance altrettanto ricca di sfumature. Il suo personaggio, inizialmente enigmatico e distaccato, si rivela mano a mano sempre più aperto e coinvolto, nonostante la sua riservatezza. La chimica tra Chalamet e Hammer è palpabile, ed è attraverso i piccoli gesti, le parole non dette e le lunghe pause che il loro rapporto si costruisce. È in queste scene silenziose, in cui i due si scrutano e si sfiorano senza dichiararsi apertamente, che emerge la forza emotiva del film.

“Chiamami col tuo nome” è anche un film straordinariamente bello da vedere. La cinematografia di Sayombhu Mukdeeprom si distingue per l’uso sapiente della luce, che dipinge i paesaggi italiani di una bellezza calda e dorata. Ogni scena è costruita con un’attenzione particolare alla composizione visiva, in modo da esprimere il coinvolgimento emotivo dei protagonisti attraverso l’ambiente che li circonda. La luce solare, che invade la campagna, diventa quasi un riflesso dei sentimenti dei personaggi: il calore dell’estate diventa la metafora di un amore che è ardente ma anche effimero, destinato a sfiorire.

Le lunghe inquadrature, che raramente interrompono l’azione, contribuiscono ad amplificare questa sensazione di dilatazione del tempo, in cui ogni istante sembra eterno, sospeso tra il desiderio e la consapevolezza che tutto ciò che accade potrebbe finire da un momento all’altro.

Un ulteriore elemento che rende “Chiamami col tuo nome” un’esperienza completa è la sua colonna sonora, curata da Sufjan Stevens. La musica è un altro protagonista del film, capace di raccontare ciò che le parole non possono esprimere. Brani come “Visions of Gideon”, che accompagna il finale del film, riescono a catturare in note la sensazione di perdita e malinconia che emerge quando l’amore, pur intenso e travolgente, giunge al termine. La musica si intreccia perfettamente con le immagini e con il ritmo contemplativo della narrazione, accentuando il senso di tristezza, ma anche di bellezza, che permea l’intera storia.

“Chiamami col tuo nome” non è solo una storia d’amore tra due ragazzi, ma una meditazione sulla memoria, sul cambiamento e sulla difficoltà di trattenere il passato. Il film esplora la fragilità dell’esperienza umana, l’impossibilità di fermare il corso degli eventi e l’inevitabilità di crescere. Ciò che rimane, dopo che l’estate è finita e le strade dei protagonisti si separano, è la memoria di un amore che li ha trasformati. Questa riflessione sulla memoria è particolarmente accentuata dal finale del film, che ci ricorda come le esperienze più intime e decisive non svaniscano mai del tutto, ma rimangano con noi, a volte per tutta la vita, nonostante la distanza e il tempo.

In conclusione, “Chiamami col tuo nome” è un’opera cinematografica che va oltre il semplice racconto di un amore giovanile. È una riflessione profonda sulla crescita, sulla scoperta di sé e sul dolore della perdita. Grazie alla regia raffinata di Guadagnino, alla scrittura sensibile di Ivory e alle straordinarie interpretazioni di Timothée Chalamet e Armie Hammer, il film riesce a catturare un amore che è al tempo stesso universale e unico, complesso e semplice, doloroso e bellissimo. È un film che rimane nel cuore di chi lo guarda, capace di far riflettere sulla natura effimera dell’amore e sulla bellezza che risiede nelle esperienze che ci segnano per sempre.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

9


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