Caterina – Recensione: le canzoni non “tanto per cantare” raccontate da Francesco Corsi

“Caterina” – Recensione: le canzoni non “tanto per cantare” raccontate da Francesco Corsi

“Caterina questa tua canzone la vorrei veder volare sopra i tetti di Firenze per poterti conquistare” – Francesco De Gregori –

Una volontà esplosiva, quella di Francesco Corsi, di riportare alla luce il marginale ed il dimenticato, storie apparentemente irrilevanti e minuscole che prendono vita e dimensione quando vengono portate in scena con il giusto spazio. Questo è il caso di Caterina Bueno, scomparsa a luglio 2007 e nata a Fiesole nel ’43, figlia di un pittore spagnolo e una scrittrice svizzera.

Caterina dedica tutto il suo tempo alla ricerca del senso della vita, sapendo che comunicare è la cosa più difficile e per questo attraversa i luoghi più rurali delle campagne toscane e, magnetofono alla mano, si insinua nelle case dei contadini per dare voce e recuperare i vecchi canti popolari, pregni di politica, di lotta, diversità ed amore. Un vero specchio delle tradizioni passate e delle radici di una civiltà.

“La bambina sapeva che ci stava solo un Dio che comanda, mentre oggi ci sta un Dio in ogni landa”.

Un ritratto artistico ed intimo di una cantante a cui si deve la riscoperta del canto popolare e contadino in Italia, tramandato oralmente fino al ventesimo secolo e altrimenti destinato all’oblio a partire dagli anni 60. Una pellicola onorata del premio del pubblico e della giuria “gli imperdibili” al 60° festival dei popoli.

Attraverso testimonianze e interviste ed immagini di repertorio il regista punta il focus su questa cantante e ne rivive il pathos con cui rivisitava in chiave moderna i vecchi stornelli, grazie alla sua innata sensibilità.

Un cammino quello di Caterina che si incrocia con grandi intellettuali dell’epoca e di oggi, tra cui Francesco De Gregori, Dario Fo, Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco e altri e rappresenta una parabola morale sulla trasformazione dell’Italia a partire dal boom economico. Un paese che poco a poco prendeva le distanze dalla memoria storica e si accingeva ad una rivoluzione culturale e sociale.

Francesco Corsi si lascia ispirare dalle suggestioni del lavoro di Caterina e dal flusso dei suoi incontri, attraverso persone, luoghi e tradizioni, scegliendo come anello di congiunzione l’interazione tra le sue riprese e il materiale d’archivio.

“Che senso ha tutto, cosa vogliamo? In cosa crediamo? Qual’è il senso della vita?”.

Questo rende la dimensione di Caterina una dimensione universale e un sapiente montaggio cattura l’anima dello spettatore, lasciandolo entrare nel vortice delle emozioni che la Bueno sapeva trasmettere.

“Io sono felice quando sono in giro, quando lavoro, non sopporto le vacanze”.

Primi piani intensi e ricordi trasparenti tessono le trame di una vita divisa tra ricerca e spettacolo e dipingono a pennellate forti “un viaggio alle radici del folk italiano attraverso le immagini e le parole della sua più grande interprete”.

Una descrizione di Caterina più privata che pubblica e la sua voce narrante che racconta le sue esperienze in Italia ed all’estero e dipana un fil rouge che lega canzoni e memorie, in un gioco di storia.

“Le canzoni avevano un ruolo, esisteva una precisa situazione in cui il canto era necessario”.

Un docufilm di personaggi, incontri video e registrazioni, che compongono le tessere di un mosaico personale ma pubblico, un’eredità importante da tramandare e conservare, vero valore etico di una nazione nelle sue sfaccettature, diverse, ma complementari, che costituiscono le fondamenta del cuore del tricolore.

Una scelta di raccontare di novelle, fuochi fatui e canti profondamente malinconici, tristi e disperati, persi nel tempo e evidenziati in una mappa dove venivano segnati i posti dove “raccattava le canzoni”.

Un manto di ricordi avvolti nel silenzio, tra amici e famiglia ed una concezione del territorio intima e profonda.

“Ancora qua ci sarebbe da lavorar, senza stare in America a emigrar. Il secolo presente qui ci lascia, il 1900 s’avvicina. La fame sta dipinta sulla faccia e per guarirla non c’è bisogno della medicina”.

Chiaretta Migliani Cavina

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