La recensione di Caracas, il nuovo film diretto e interpretato da Marco D’Amore, nei cinema al 29 febbraio con Vision Distribution.
Dopo aver esordito dietro la macchina da presa nel 2019 con L’Immortale, spin-off dell’acclamata serie Gomorra, di cui tra l’altro era uno dei protagonisti, e Napoli Magica del 2022, il 29 febbraio distribuito da Vision Distribution, Marco D’Amore torna sul grande schermo come regista e interprete per raccontare ancora la sua Napoli in: Caracas.
Caracas, la storia
Adattamento dall’opera letteraria Napoli Ferrovia di Ermanno Rea, autore del romanzo Nostalgia da cui è stato tratto l’omonimo film diretto nel 2022 da Mario Martone, in Caracas, lo scrittore napoletano Giordano Fonte si aggira in una Napoli che non riconosce più dopo esservi tornato a distanza di molti anni, che inghiotte e terrorizza ma allo stesso tempo affascina.
Ma Giordano non è solo in questo girovagare, con lui c’è Caracas, un uomo che milita nell’estrema destra e sta per convertirsi all’Islam, alla ricerca di una verità sull’esistenza che non sa trovare, e di cui lo scrittore in crisi ne canta l’amore impossibile con Yasmina attraversando una città dove tutti sperano di salvarsi. Dove tutti sognano di poter aprire gli occhi e scorgere, passati gli incubi del buio della notte, una giornata piena di luce.
Caracas, esperienze connesse che raccontano la ricerca di se stessi
Con Caracas, Marco D’Amore firma una regia intensa, poetica e profondamente inquieta, accompagnato da due presenze sceniche di grande caratura: Toni Servillo e Lina Camélia Lumbroso, e con Napoli che non è solo sfondo, ma diventa personaggio stesso, pulsante e ambigua, viva più dei suoi abitanti, satura di sudore, fumo e lacrime. Una città che si muove tra reale e irreale, tra veglia e sogno, tra speranza e dannazione.
Il film è liberamente ispirato a un’esperienza reale vissuta da Ermanno Rea, e si trasforma in un’opera stratificata che mescola introspezione personale, tensione sociale e spiritualità. Una riflessione che tocca i nervi scoperti del nostro tempo: l’estremismo religioso, le ideologie perdute, l’identità politica, la fede e la necessità di appartenenza attraverso la lente deformante – eppure chiarissima – di una Napoli che accoglie e confonde, che protegge e divora.
Il protagonista, Giordano (un intenso Toni Servillo), è un vecchio scrittore comunista in crisi, tanto creativa quanto esistenziale. La sua vita subisce una scossa imprevista dall’incontro con Caracas (Marco D’Amore), figura enigmatica, ibrida, quasi mitologica, che sembra incarnare tutto ciò che Giordano ha smesso di comprendere. Caracas è un giovane uomo, ma è anche un’idea, un miraggio, un’allucinazione o forse il personaggio stesso del romanzo che Giordano tenta di scrivere. La domanda “Chi è Caracas?” attraversa l’intero film come un’eco: un incontro reale o solo una proiezione della coscienza frammentata di Giordano?
D’Amore costruisce un doppio binario narrativo: da un lato l’azione – la vita che accade, che travolge, che interroga – e dall’altro il pensiero – la riflessione, la memoria, la crisi, la spiritualità. Caracas è il nodo dove questi due piani si intrecciano, un personaggio magnetico, disturbante, al tempo stesso guida e minaccia, capace di generare sia confusione che illuminazione.
La scelta di Toni Servillo come protagonista non è casuale, e assume una valenza simbolica ancora più forte nel momento in cui, come da lui stesso raccontato, si invertono i ruoli maestro-allievo: “Marco è cresciuto nella mia compagnia teatrale quando era davvero molto giovane,” ha dichiarato Servillo, “e l’idea che adesso fosse lui a dirigermi rappresenta qualcosa che si spiega con i sentimenti.” È questo passaggio generazionale, questa trasmissione di sensibilità, a rendere Caracas ancora più ricco di sfumature.
Narrativamente, il film non offre risposte. Caracas è un’opera che si affida all’enigma, alla suggestione, alla sospensione. La trama è un pretesto per scandagliare l’animo umano, per esplorare le derive della fede e dell’ideologia, per riflettere su come l’Altro – chiunque esso sia – possa diventare specchio e confronto, a volte salvezza, a volte abisso.
Dal punto di vista visivo, D’Amore riesce a conferire a Napoli una dimensione mistica, sensuale, quasi metafisica. Non c’è mai compiacimento, ma un rispetto profondo per le sue contraddizioni. La fotografia gioca su chiaroscuri intensi, e la regia si muove con eleganza tra momenti quasi documentaristici e inserti onirici.
Caracas è, come afferma lo stesso regista, “inspiegabile come la vita.” Un film che sfugge alle etichette, che chiede allo spettatore di lasciarsi andare, di accettare il dubbio, di accogliere la complessità. E che, alla fine, ci accompagna nel viaggio interiore di un uomo che cerca di capire chi è, dove va, e se davvero può ancora credere in qualcosa – o qualcuno. Un’opera coraggiosa, ambiziosa, a tratti disorientante, ma necessaria che lascia il segno, e che merita di essere vissuto più che spiegato.
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Emanuela Giuliani
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