“Black Panther: Wakanda Forever” – Recensione: el niño sin amor e il nuovo Panther
Nel 2018 i Marvel Studios con “Black Panther”, hanno introdotto nel Marvel Cinematic Universe non solo il ricco mondo del Wakanda, bensì il primo supereroe nero.
A vestirne i panni Chadwick Boseman, la cui inaspettata scomparsa, avvenuta a soli 43 anni nell’agosto del 2020, è piombata come un fulmine a ciel sereno sull’intero mondo cinematografico, mettendo in dubbio, ovviamente, il possibile sviluppo e la realizzazione del sequel. Cancellare il progetto, riassegnare il ruolo, o onorare l’interprete e proseguire intraprendendo una nuova strada?
“La scomparsa di Chad ha toccato e colpito i filmmaker e gli attori in modo incredibilmente profondo” – ha detto Coogler – “Chad è sempre stato un collaboratore artistico davvero importante in questo progetto, in questo franchise e nella creazione della storia. Passavo molto tempo con lui: parlavamo delle nostre aspettative e delle nostre speranze per i personaggi e per la storia, e di quanto ammiravamo gli altri personaggi e gli attori che li interpretavano. Dopo la sua scomparsa, ci siamo resi conto che sarebbe stato giusto proseguire la storia”.
Dopo vari rumors e indecisioni lo studio, mosso dal profondo amore e rispetto nei confronti di Boseman, dimostrato anche dai fan, ha così deciso continuare su una strada tutta scoprire, rendendo eterna l’immagine dell’amata star e trasmettendo l’imponente eredità del ruolo da lui interpretato. Un dono, carico di significato, emozione, commozione e senza alcun dubbio non facile da gestire e portare.
Un’inedita storia, quella di “Black Panther: Wakanda Forever”, nelle sale cinematografiche dal 9 novembre, all’interno del quale è semplice intuire il prescelto…la prescelta, il cui cuore è la dolorosa elaborazione del lutto per la perdita di un fratello, di un figlio, di un re.
Una mancanza, un demone silenzioso che logora l’anima e annebbia la vista, che spinge all’affrontare se stessi, il senso di impotenza, la rabbia e, come in questo caso, la difficoltà nel trovare la propria identità come guida e volto di Panther, e il desiderio di vendetta. Il re come non c’è più, è morto, ma si deve andare avanti.
In “Black Panther: Wakanda Forever”, la Regina Ramonda, Shuri, M’Baku, Okoye e le Dora Milaje lottano per proteggere la loro nazione dalle ingerenze delle potenze mondiali dopo la morte di Re T’Challa, e Namor, sovrano di una nazione sottomarina nascosta, li avverte dell’esistenza di una minaccia globale e del suo inquietante piano per fermarla.
I Wakandiani dovranno così unire le forze, contando sull’aiuto della War Dog Nakia e di Everett Ross, per forgiare la nuova fase della comunità e sconfiggere Namor, ‘el niño sin amor’, di cui, nonostante le avanzate tecnologie, ne ignoravano l’esistenza così come del suo regno: Talokan. Una civiltà sottomarina mozzafiato popolata dai discendenti di un’antica comunità Maya nascosta dal resto del mondo come il Wakanda, e dotata anch’essa di una potente risorsa. E proprio Namor, si rivelerà essere la chiave per la nascita del nuovo Panther.
“Ramonda si rende conto che è passato un anno dalla morte di T’Challa ma Shuri non è ancora riuscita a riprendersi: non sta facendo nulla per voltare pagina in modo salutare” – afferma Coogler – “Per questo motivo, decidono di allontanarsi dalla città e dalla tecnologia per vivere senza distrazioni quella che è essenzialmente una cerimonia di lutto. È in quel momento che arriva Namor” – riguardo a Namor apparso per la prima volta come Sub-Mariner nel numero #1 di Marvel Comics, pubblicato nel 1939, tra i personaggi più vecchi del mondo Marvel che nel corso degli anni è stato sia un eroe che un antagonista spiega – “Nella nostra storia, rappresenta Talokan, una civiltà sottomarina nascosta che è la nostra rivisitazione del regno di Atlantide presente nei fumetti Marvel. La sua apparizione dimostra che il Wakanda non è sicuro come i suoi abitanti pensavano. Si presenta e fa una proposta a Ramonda e Shuri”.
E se nel 2018 con “Black Panther”, ad essere approfondito è stato il rapporto padre – figlio, in “Wakanda Forever” è il legame tra madre – figlia, tra Ramonda e Shuri. Entrambe segnate e devastate dalla morte di T’Challa, ognuna di loro infatti dovrà fare i conti, una volte per tutte, con il proprio vuoto interiore e costruire un nuovo e stabile equilibrio. Un dolore tanto simile quanto differente, poiché l’una ha perso un figlio, l’altra il fratello, ma che strappa il cuore con la medesima intensità. Un dolore che assumerà le sembianze di un guscio sicuro da cui però dovranno uscire, e che porterà ogni personaggio a chiedersi come si può superare la perdita di chi si ama.
Dalle scenografie ai costumi “Black Panther: Wakanda Forever” conquista e commuove omaggiando Chadwick Boseman nel migliore dei modi. Unica pecca, una narrazione che spesso si dilunga in episodi d’azione e scivola in una rappresentazione non coinvolgente che si perde con ambientazioni che riportano, per alcuni aspetti, alla mente “Aquaman” e “Avatar”, ma che di certo non va a scalfire una storia che non lascerà indifferenti, dove il sentimento e la nostalgia, accompagnati dalle note del brano “Lift me Up” di Rihanna che ritorna ufficialmente sulle scene dopo una pausa di ben 5 anni, si avvertono più forti che mai.
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Emanuela Giuliani
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