Alla Festa del Cinema di Roma il regista Andrea Segre e il protagonista Elio Germano raccontano Enrico Berlinguer.
Ieri sera si è alzato il sipario sulla 19esima Festa del Cinema di Roma. E ad aprire ufficialmente le danze come annunciato: Berlinguer – La Grande Ambizione, il nuovo film diretto da Andrea Segre con uno straordinario Elio Germano nei panni di Enrico Berlinguer, amatissimo politico che ha fatto la storia del partito comunista in Italia e della politica italiana.
Nelle sale cinematografiche il 31 ottobre distribuito da Lucky Red, il film è stato presentato in concorso alla Festa del Cinema e in occasione dell’incontro con stampa il regista, assieme al protagonista Elio Germano e allo sceneggiatore Marco Pettenello hanno raccontato come è nato il film.
“Forse ce lo avevo nascosto in testa. Quando però mi è venuto veramente in mente ero sul set di Welcome Venice”, spiega Andrea Segre. “Ho letto un libro di Piero Ruzzante che raccontava gli ultimi giorni di Berlinguer, Piero Ruzzante è un onorevole padovano e lo stesso libro lo aveva regalato a Marco Pettenello (lo sceneggiatore), e credo che li ho provato timidamente a dirlo a Marco che, a sua volta, timidamente mi ha detto forse si. Ci siamo detti proviamoci e abbiamo riflettuto sul fatto che era incredibile che il cinema italiano non avesse ancora raccontato non solo Berlinguer, ma quel popolo, quel pezzo di Italia, quegli italiani che hanno vissuto intorno e dentro all’esperienza del partito comunista italiano, e che sono un elemento molto grande della storia della società italiana e con loro, ovviamente, la figura di Berlinguer”, dice il regista proseguendo.
“Abbiamo inoltre iniziato a riflettere su quale fosse il momento chiave della storia di Berlinguer e di quel popolo, perché non volevano fare un biopic generale su tutta la vita di Berlinguer. Ci è sembrato che gli anni dal 73 al 78, e in particolare gli anni centrali del 75 e 76, fossero il momento più importante di quell’esperienza e per il paese, per il ruolo che l’Italia ha avuto in quegli anni dentro un mondo diviso in due, dal momento che era il più grande partito comunista in occidente e questo già di per se costituiva un problema per l’occidente e per il mondo comunista. Abbiamo quindi iniziato a riflettere su tutto questo, poco dopo sono andato a trovare Elio e gli ho detto che avevo questa idea, da li poi lo abbiamo raccontato hai produttori. E’ stato un lavoro molto lungo in realtà”, conclude Segre.
In merito alla scelta di unire immagini di repertorio Segre ha dichiarato: “La sfida di unire repertorio e messa in scena è stato sin dall’inizio un mio pallino, consapevole di tutte le difficoltà che questa comportava perché si rischiava di rompere il confine tra verità e finzione. Ma ho sempre pensavo che fosse un elemento molto potente. Il lavoro enorme è stato svolto degli archivisti, che ringrazio, e del montaggio meticolosissimo nonché alla grande attenzione dei produttori che non hanno mai mollato sui repertori, consapevoli che li si giocava un pezzo di sfida creativa e artistica importante e che a me piace molto. Il film che ci ha guidato sin dalla scrittura è Milk di Gus Van Sant, dove c’è il dialogo tra repertorio e messa in scena con il repertorio che è sia didascalico, nel senso che racconta qualcosa, sia poetico e subliminale”.
Marco Pettenello sceneggiatore aggiunge: “Abbiamo cominciato leggendo un paio di libri e scrivendo qualche paginetta. Ricordo che le prime pagine che abbiamo scritto cominciavano con ‘La prima volta che abbiamo visto da bambini un adulto piangere è stato quando è morto Berlinguer’. Io ricordo i miei genitori che piangevano. Abbiamo iniziato a leggere molto, ci sono due biografie molto importanti di Berlinguer, e intervistato una quantità sconfinata di persone, i figli, i parenti più lontani, gli agenti della scorta, i colleghi del partito ancora in vita, le generazioni più giovani che lo avevano conosciuto come Dalema, Bassolino, Veltroni. In tutte queste interviste c’era sempre un momento in cui si commuovevano perché evidentemente Berlinguer era veramente una persona amata, tutti gli volevano bene e drammaturgicamente può essere un problema avere un personaggio che non ha dei difetti. Incrociavano quindi lunghe letture con interviste e poi siamo entrati all’istituto Gramsci dove sono riportate tutte le riunioni della direzione del partito comunista. Noi avremmo fatto un film di 12 ore se ci fosse stato concesso. C’erano anche degli appunti di Berlinguer, scritti a mano da lui. E’ stato un lavoro lungo un paio di anni.”
Quando una via sembra a tutti impossibile, è necessario fermarsi? Non l’ha fatto Enrico Berlinguer, segretario negli anni Settanta del più importante partito comunista del mondo occidentale, con oltre un milione settecentomila iscritti e più di dodici milioni di elettori, uniti dalla grande ambizione di realizzare il socialismo nella democrazia.
Sfidando i dogmi della guerra fredda e di un mondo diviso in due, Berlinguer e il PCI tentarono per cinque anni di andare al governo, aprendo a una stagione di dialogo con la Democrazia Cristiana e arrivando a un passo dal cambiare la storia. Dal 1973, quando sfuggì a Sofia a un attentato dei servizi bulgari, attraverso le campagne elettorali e i viaggi a Mosca, le copertine dei giornali di tutto il mondo e le rischiose relazioni con il potere, fino all’assassinio nel 1978 del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro: la storia di un uomo e di un popolo per cui vita e politica, privato e collettivo, erano indissolubilmente legati.
“Per immedesimarmi da subito ci siamo detti con Andrea di non caratterizzarlo esteriormente troppo, come del resto tutti gli altri personaggi, ma di restituire semplicemente qualche dettaglio che ci ricordassero i personaggi veri”, svela Elio Germano. “L’approccio è stato soprattutto quello di approfondire le questioni di cui erano portatori tutti quegli intellettuali che sedevano ai tavoli della direzione e di cui Berlinguer era il segretario. Una profonda attenzione di ricostruzione quindi non esteriore ma di quell’atteggiamento di profondo rispetto e di indagini quasi da storici, mettendo poi in scena senza forzare le cose o da una parte o dall’altra. Io credo molto nel linguaggio involontario e inconsapevole dei nostri corpi, e in questo caso il corpo di Berlinguer, la sua prossemica, raccontava un senso di inadeguatezza, di fatica, di responsabilità, di peso della responsabilità, una mancanza di attenzione verso l’esteriorità con questi capelli che andavano da tutte le parti, quindi la misura in cui il suo corpo raccontava qualcosa ovviamente è stata una fonte di ispirazione, ma il nostro obiettivo non era fare delle imitazioni”.
Berlinguer – La Grande Ambizione è una produzione Vivo film e Jolefilm con Rai Cinema, in coproduzione con Tarantula (Belgio) e Agitprop (Bulgaria) con le musiche originali di Iosonouncane. Nel cast ad affiancare Germano anche: Elena Radonicich, Paolo Pierobon, Roberto Citran, Andrea Pennacchi, Giorgio Tirabassi, Paolo Calabresi, Francesco Acquaroli e Fabrizia Sacchi.
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Emanuela Giuliani