“Bardo” – Recensione – Press Conference: la ricerca della verità nel labirinto dell’anima
Il regista messicano Alejandro G. Iñárritu, a 7 anni di distanza dalla sua ultima opera: “The Revenant”, che nel 2015 valse al protagonista Leonardo DiCaprio il suo primo Oscar, nonché allo stesso Iñárritu la seconda statuetta per la Miglior Regia, torna dietro la macchina da presa presentando in anteprima alla 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: “BARDO, La cronaca falsa di alcune verità”.
Un’esperienza immersiva epica e visivamente imponente, ambientata nell’intimo e commovente viaggio dell’anima di Silverio, un noto giornalista e documentarista messicano che vive a Los Angeles, costretto a tornare nel proprio paese natale dopo aver ricevuto un prestigioso riconoscimento internazionale. Un viaggio semplice, che lo spingerà tuttavia verso una profonda crisi esistenziale, con la follia dei suoi ricordi e delle sue paure che perforeranno il presente, riempiendo i suoi giorni di un senso di sconcerto e stupore.
Tra emozioni e risate, Silverio si ritroverà a lottare con se stesso nel limbo del così detto Bardo, alla ricerca di risposte a domande universali e personali riguardanti la propria identità, il successo, la fragilità della vita, la storia del Messico e i profondi legami sentimentali che condivide con la moglie e i figli, attraverso un percorso viscerale su cosa significa essere umani in questi tempi molto particolari.
Scritto da Iñárritu e Nicolás Giacobone – che in precedenza avevano collaborato alla sceneggiatura vincitrice dell’Oscar “Birdman o L’inaspettata virtù dell’ignoranza”, del 2014, e a quella di “Biutiful” del 2010 – “BARDO, La cronaca falsa di alcune verità” è una commedia nostalgica che cerca risposte nel passato per riconciliare chi è nel presente. Un’esplorazione ingannevole a ritroso, dove la fantasia, la realtà, i sogni e gli incubi si fondono e confondono tra il complesso labirinto dell’anima e della mente. Il tempo e lo spazio si intrecciano, e la narrazione che costituisce ‘la nostra vita’ si rivela essere non più di un falso miraggio, composto da eventi percepiti in modo soggettivo dal nostro imperfetto sistema nervoso, così come la memoria possiede soltanto convinzioni derivate dalle emozioni.
Ma è proprio la verità dell’emozione che Iñárritu cerca all’interno dell’enorme baule pieno di chimere che si porta dietro. Una verità assoluta tuttavia non trovata, e rappresentata da questo racconto, da questo sogno, che come il cinema sono reali ma non veri, illusioni dai confini indecifrabili dal tempo liquido.
“Oggi è un giorno particolare, perché ricorre un anniversario per la mia famiglia, poichè il 1 settembre del settembre del 2001 abbiamo lasciato il Messico e siamo andati a vivere negli Stati Uniti” – dichiara Iñárritu nel corso della press conference – “Quando abbiamo lasciato il Paese, ovviamente avevamo grandi progetti, pensavano di restarci per un anno e invece ne sono trascorsi ben 21. Come potete capire quindi, è un evento che per noi rappresenta veramente qualcosa di eccezionale, e ha dato vita proprio a questo film. Quando lasci il tuo paese, c’è un’assenza che ti rincorre ogni giorno, di conseguenza per me ora il Messico è uno stato mentale e non più un paese. Ma ogni nazione e paese alla fine è uno stato mentale, sono le storie che ci hanno raccontato e raccontiamo di noi stessi. Ma quando prendi le distanze si accumula il tempo e questi stati mentali e queste storie si dissolvono e trasformano. Ed è proprio l’interpretazione di questa assenza ad essere presente nel film, e quando ritorniamo, come è successo a me nel girare il film, (il film è stato girato a Città del Messico, città Natale del regista) è come una sorta di specchio, è come incontrare nuovamente un amico. Tutto però è diverso così bisogna reinterpretare emotivamente un ricordo.”
“La frase nel film relativa alla capacità del successo di avvelenare, in realtà appartiene a mio padre, il quale ha ereditato il successo e poi lo ha perso” – spiega il regista – “Per mio padre il successo aveva due rischi, costanti e presenti: uno era la tentazione dell’orgoglio, che in un certo qual modo ti intossicava, l’altro era l’inevitabile perdita di esso che ti porta al dolore. L’avere successo era di conseguenza una sorta di condanna, perché sai che prima o poi lo perderai e arriveranno tempi difficili. Dovrai accettarlo. Quindi lui diceva sempre che di fronte al successo devi bere e sputare qualcosa” – prosegue – “Per quanto mi riguarda il successo è stato importante. Ognuno di noi ha voglia di avere successo che ad un certo punto ha delle aspettative e responsabilità nei confronti delle altre persone, e comporta il dover affrontare delle sfide. Il successo inoltre richiede un cambiamento delle tue priorità, e questo per me è stato un apprendimento, ecco perché ho voluto includere la frase come momento importante della conoscenza di mio padre.”
“Questo film a differenza degli altri, non è stato fatto con la testa, ma l’ho fatto con tutto il mio cuore e partire da lì, il parto è più sensibile ma è molto più liberatorio” – afferma Iñárritu – “Si tratta di un’interpretazione di una realtà che si verifica tra l’immaginazione di un evento e questo luogo che si trova in mezzo, il Bardo, e quando ripercorri questo, tutto ciò che hai vissuto superficialmente, digerendolo e mettendolo apposto, puoi sentire dolore, contemporaneamente però, ci sono momenti di allegria. Tuttavia non c’è nulla di autobiografico, è un viaggio emotivo e ho iniziato a realizzare questo film con questa idea assieme a molte incertezze e coraggio, esplorando e dando un senso a degli elementi personali, e condividendo quindi una parte del mio cuore.”
Girato in 65 mm e dotato di una straordinaria fotografia del candidato all’Oscar Darius Khondji (“Amour”, “Se7en”), “BARDO, La cronaca falsa di alcune verità”, godrà di un’uscita nelle sale su scala globale, anche in Messico, così come negli Stati Uniti, in Canada, Regno Unito, Italia, Spagna, Germania, Argentina, Brasile, Australia, Nuova Zelanda, Scandinavia, Paesi Bassi, Giappone e Corea tra gli altri, prima del suo debutto su Netflix il 16 dicembre.
“BARDO, la falsa cronaca di alcune verità”, è interpretato da Daniel Giménez Cacho e Griselda Siciliani. Oltre a Khondji, il regista ha collaborato con professionisti affermati quali il designer messicano premio Oscar Eugenio Caballero (“ROMA”, “Il labirinto di Pan”) e la costumista Anna Terrazas (“The Deuce”, “ROMA”).
“Questo per me è stato un lavoro molto diverso da quelli fatti fin ora” – spiega l’interprete protagonista Daniel Giménez Cacho – “Alejandro mi ha trasmesso questo approccio irrazionale, la pianificazione del personaggio e mi ha concesso di leggere la sceneggiatura una sola volta, anche se in realtà l’ho letta due volte. E’ stato necessario stabilire un rapporto di fiducia, dal momento che obiettivamente non sai dove andrai a parare. C’era qualcosa da cercare, bisognava solo stare tranquilli e fare in modo che tutto accadesse. Si trattava solamente di ricordi. Non abbiamo costruito nulla quindi di questo personaggio” – dice – “Giorno dopo giorno si è creata questa connessione fra noi due che io definirei magica.”
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Emanuela Giuliani