Back to Black, la recensione del biopic non all’altezza di Amy Winehouse

La recensione di Back to Black, il biopic su Amy Winehouse nelle sale italiane dal 18 aprile con Universal Pictures.

Negli ultimi mesi, diversi biopic dedicati a icone del mondo musicale hanno fatto il loro ingresso nel panorama cinematografico, suscitando curiosità e, inevitabilmente, anche qualche preoccupazione. Dai film su Michael Jackson, con Jafaar Jackson nel ruolo del leggendario zio, a A Complete Unknown con Timothée Chalamet nei panni di Bob Dylan, fino al più recente progetto su Bruce Springsteen, che vedrà Jeremy Allen White interpretare il Boss. Tuttavia, tra tutte queste pellicole, una ha sollevato fin dall’inizio numerosi dubbi: Back to Black, il biopic che racconta con uno sguardo inedito, la rapida ascesa e la tragica caduta di Amy Winehouse, simbolo di un’epoca musicale e di un’anima tormentata.

Back to Black non all’altezza della ragazza dietro la star

scena film back to black

Arrivato nelle sale cinematografiche il 18 aprile, distribuito da Universal Pictures, il film pone subito una domanda fondamentale: sarà in grado di raccontare la sofferenza e il dolore che hanno caratterizzato la vita di Amy Winehouse, senza scadere nella banalizzazione irrispettosa verso una giovane artista unica e fuori dagli schemi?

La sua morte, avvenuta il 23 luglio 2011 a soli 27 anni nella sua casa di Camden Square, rappresenta il tragico epilogo di una lunga lotta contro la solitudine, la bulimia e la dipendenza dall’alcol, che lei aveva cercato di combattere senza mai trovare pace. Le aspettative erano alte, ma la realtà del film non ha saputo fare giustizia alla complessità della sua figura.

Amy Winehouse era una donna-bambina, fragile e tormentata, che cercava affetto e riconoscimento, ma che purtroppo li trovava solo nei momenti più bui della sua vita. Il suo amore per il jazz e il blues, la sua passione per la musica, ma anche il suo desiderio di non essere trasformata in una pop star commerciale come le “Spice Girls”, sono solo alcuni degli aspetti che avrebbero meritato di essere esplorati con maggiore profondità. La sua personalità unica, la sua voce inconfondibile e la sua visione musicale straordinaria sono stati alcuni dei fattori che l’hanno resa una delle figure più importanti della musica contemporanea.

Ciononostante, il film, purtroppo, sceglie una strada più superficiale e, a tratti, edulcorata, non riuscendo a trasmettere la vera essenza della sua sofferenza. Amy, la giovane cantante che ha dato vita a uno degli album più rivoluzionari del suo tempo, Back to Black, non viene rappresentata come una persona reale, ma come una figura idealizzata e a tratti irriconoscibile, distaccata dalla realtà che caratterizzava la sua vita e la sua musica.

Back to Black, scritto da Matt Greenhalgh e diretto da Sam Taylor-Johnson, amica intima di Amy e già regista del biopic su John Lennon Nowhere Boy, parte con delle premesse interessanti. Ma fin dai primi minuti, il film si rivela una mediocrità che non sa rendere giustizia alla tragica storia di Amy Winehouse.

La narrazione si perde in una favola tragica priva di empatia, limitandosi a riassumere i momenti più significativi della sua vita in modo sterile e privo di profondità. Le scene, purtroppo, non riescono mai a catturare la reale intensità del suo dolore, limitandosi a toccare la superficie senza mai entrare nel cuore del suo tormento. Gli sforzi del film per mostrare il lato oscuro e auto-distruttivo di Amy risultano spesso troppo superficiali, senza riuscire a esplorare adeguatamente le cause del suo malessere interiore.

Marisa Abela, nel ruolo di Amy, si impegna molto per cercare di incarnare la personalità della cantante, ma la sua performance, pur convincente in alcune parti, non basta a risollevare le sorti di un film che lascia il pubblico insoddisfatto e deluso. L’attrice non riesce a trasmettere appieno la complessità dell’anima di Amy, e la sua interpretazione finisce per risultare quasi vuota, come se mancasse qualcosa di fondamentale. La sua somiglianza fisica con la cantante è solo parziale, e la sua capacità di catturare l’intensità emotiva di Amy sembra limitata.

La Abela si sforza, ma non riesce a cogliere la tragicità della sua figura e la lotta interiore che ha segnato la sua breve e tumultuosa vita. La delusione, dunque, è inevitabile, soprattutto perché Back to Black non riesce a rendere giustizia a un talento che, purtroppo, è stato sprecato troppo presto. Il film lascia il pubblico con un senso di vuoto, senza offrire la possibilità di connettersi veramente con la figura di Amy, o di comprendere la profondità del suo dolore e della sua musica.

Una delle maggiori lacune del film riguarda la sua sceneggiatura, che non approfondisce adeguatamente i rapporti più significativi di Amy, come quello con il padre Mitch (Eddie Marson) e, soprattutto, quello con il marito Blake Fielder-Civil. La relazione tossica e distruttiva con Blake, che ha avuto un ruolo fondamentale nel suo ingresso nel mondo delle droghe e nella creazione di Back to Black, è trattata in modo superficiale, riducendola a un semplice elemento narrativo senza entrare nei meandri di quel legame malato che ha segnato la sua vita.

La mancanza di una trattazione seria del conflitto tra Amy e suo padre Mitch, che ha sempre avuto un rapporto ambivalente con la figlia, priva il film di una delle sue potenziali forze emotive. Il film evita anche di esplorare davvero l’influenza negativa che l’industria musicale ha avuto su Amy, riducendo la sua carriera e il suo successo a un fatto esteriore, senza entrare nella psicologia del suo impatto sulla sua vita personale. La mancata esplorazione di questi temi rende il film ancora più distante dalla realtà che avrebbe dovuto rappresentare.

scena back to black

Per quanto riguarda l’aspetto musicale del film, purtroppo, non è sviluppato con la dovuta attenzione. La musica di Amy Winehouse, che era al centro della sua esistenza, viene trattata solo marginalmente, senza che il film faccia giustizia alla sua immensa eredità musicale. La sua passione per il jazz e il blues, il suo approccio alla scrittura dei testi, la sua capacità di raccontare la propria vita e il proprio dolore attraverso la musica, sono temi che meritavano un’analisi più profonda.

Back to Black invece preferisce concentrarsi sulle sue difficoltà personali e relazionali, tralasciando uno degli aspetti più importanti e affascinanti di Amy: la sua musica, che avrebbe potuto offrire una via di accesso più intima e significativa alla sua vita e al suo spirito, non offrendo il tributo che meritava.

Nonostante la buona intenzione di raccontare la sua storia, il film quindi finisce per risultare una rappresentazione superficiale e poco empatica della sua vita, privando il pubblico della possibilità di comprendere veramente il dolore e la genialità di una delle artiste più talentuose e fragili del suo tempo. Nonostante le ottime premesse, la pellicola lascia un senso di vuoto, un po’ come la stessa Amy, la cui luce è stata spenta troppo presto, ma che meriterebbe di essere ricordata per la sua musica e il suo spirito, e non per la triste favola che il film ha deciso di raccontare.

© Riproduzione Riservata

Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

5


Pubblicato

in

da

Tag: