La recensione di Assassinio a Venezia, il nuovo adattamento di Kenneth Branagh ni cinema italiani dal 14 settembre
Dopo Assassinio sull’Oriente Express del 2017, e Assassinio sul Nilo del 2022, Kenneth Branagh torna a vestire i panni del famoso detective Hercule Poirot in Assassinio a Venezia, inquietante thriller soprannaturale, da lui anche diretto come i precedenti titoli.
Scritto da Michael Green, il film, è basato sul romanzo di Agatha Christie: Poirot e la strage degli innocenti, pubblicato per la prima volta nel 1969, e debutterà il 14 settembre nelle sale cinematografiche italiane. A far parte del brillante cast: Kyle Allen, Camille Cottin, Jamie Dornan, Tina Fey, Jude Hill, Ali Khan, Emma Laird, Kelly Reilly, Michelle Yeoh e Riccardo Scamarcio.
Assassinio a Venezia, la storia
È la notte della vigilia di Ognissanti in un’inquietante Venezia del secondo dopoguerra, dove ora risiede il celebre investigatore Hercule Poirot (Kenneth Branagh), ormai in pensione e in esilio volontario. Poirot ha detto addio alla sua vita precedente. Le esperienze nel crimine, nelle investigazioni, e il contatto con la parte più oscura dell’umanità messa in evidenza dalla Seconda guerra mondiale lo hanno fatto desistere. Trascorre il suo tempo facendo tutto il possibile per evitare di pensare ai crimini, ma naturalmente sono i crimini ad andare da lui.
Poirot riceve la visita di una vecchia amica, la scrittrice di gialli numero uno al mondo Ariadne Oliver (Tina Fey), che ha qualcosa da mostrargli e promette che non si tratta di crimini. Vuole che si unisca a lei in una seduta spiritica e che la aiuti a dimostrare che non ha alcun fondamento. Malgrado il suo buon senso, Poirot si scopre intrigato e accetta con riluttanza di partecipare alla seduta spiritica in un palazzo decadente e spettrale di proprietà della famosa cantante lirica Rowena Drake (Kelly Reilly). Quando uno degli ospiti viene assassinato, tutti i presenti vengono considerati sospettati, proiettando il detective belga in un mondo sinistro fatto di ombre e segreti.
Assassinio a Venezia, una trasposizione personale e inquietante
Il regista/produttore Kenneth Branagh (Belfast), vincitore del premio Oscar®, e lo sceneggiatore candidato all’Oscar® Michael Green (Logan – The Wolverine), come da loro stessi svelato, sul set di Assassinio dell’Orient Express, che segnò la loro prima collaborazione, discussero di Assassinio sul Nilo, e iniziarono a pensare alla mossa giusta per il terzo film. Mossa che li condusse alla tematica dei fantasmi, al libro Poirot e la strage degli innocenti e quindi ad Assassinio a Venezia, la cui trasposizione tuttavia, si differenzia innegabilmente dalla storia originale. Branagh infatti porta sul grande schermo una visione molto personale in cui a spicca è la componente soprannaturale, che pende spunto da alcuni racconti, ovviamente sempre della Christie, pubblicati con il titolo di L’ultima seduta spiritica.
Ma la tematica non è l’unica libertà di Branagh e Green. Se nel romanzo, scritto dalla celebre scrittrice verso la fine della sua carriera, la vicenda è ambientata in una tipica dimora di campagna inglese, qui invece ecco un grande cambiamento nella narrazione con l’ossatura del giallo che dall’Inghilterra si sposta a Venezia. Passaggio questo che trasforma il tutto essenzialmente in una storia di fantasmi all’interno di una casa infestata, mentre nella notte si festeggia Halloween e i vivi sembrano essere stati uccisi dai morti.
Cambiamenti sostanziali che potrebbero far storcere il naso ai fan più fedeli, ma che in realtà rispettano i toni dell’originale riuscendo a creare un nodo allo stomaco negli spettatori tenendoli sulle spine, e soprattutto approvati dal pronipote della Christie James Prichard, tra i produttori esecutivi del progetto.
Un adattamento quello realizzato con Assassinio a Venezia quindi, simile a un’opera da camera, con un minor numero di sospettati intrappolati in un palazzo infestato durante un’unica notte tempestosa, in una città dal fascino eterno, labirintico, pittorico, spettrale, avvolta dalla nebbia, da maschere raccapriccianti e atmosfere claustrofobiche.
Ed è proprio tra queste luoghi distorti che troviamo un Poirot combattuto, che non sa se credere o meno al soprannaturale. Un Poirot che allo stesso tempo è un uomo perseguitato da tutto quello che ha passato e dai morti che ha visto. Una morte estremamente presente a prescindere dal fatto che i fantasmi siano reali o meno. Li sente di notte e li vede di giorno, rendendo la sua vita molto difficile e aumentando la suspence per un rifacimento che, nonostante lo scetticismo iniziale, non delude le aspettative e parla della possibile esistenza dell’aldilà, dei fantasmi e di un Dio. Dilemma che implica inevitabilmente un sentimento di paura e curiosità in tutti noi, e grazie al quale Branagh centra l’obiettivo offrendo l’opportunità di vivere l’esperienza sorprendente di una nuova storia firmata Agatha Christie.
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Emanuela Giuliani
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