Un uomo e ragazza dietro una roccia

Ant – Man and Wasp: Quantumania, recensione: nel cuore del Regno Quantico

Ant – Man and Wasp: Quantumania, la recensione del film al cinema dal 15 febbraio che da il via alla Fase 5 dell’MCU

Che le Fase 4, 5 e 6 sarebbero andate a formare una saga del tutto nuova all’interno del composito Marvel Cinematic Universe, la Saga del Multiverso, era già chiaro dall’uscita di film come “Doctor Strange nel Multiverso della Follia”, “Spider-Man: No Way Home” e dai disseminati riferimenti al multiverso presenti in ogni film di questo nuovo grande capitolo.

Con il distruttore Thanos finalmente sconfitto e con “Spider-Man: Far From Home” a chiudere i giochi, la Saga dell’Infinito volge al termine e la Fase 4 inaugura una serie di avventure prevalentemente pensate per la piattaforma Disney+ e il formato seriale, salvo qualche eccezione. Quale posto va a occupare, in questo mosaico, “Ant-Man and the Wasp: Quantumania”?

Quando si libera dei panni dell’Avenger, Scott Lang (Paul Rudd) conduce una vita normale. Di fatto ama condurre una vita normale, occupandosi di sua figlia Cassie (Kathryn Newton), della pubblicazione di un suo libro autobiografico e della relazione con Hope “The Wasp” van Dyne (Evangeline Lilly).

Infatuata delle tecnologie con cui lavora suo padre, Cassie armeggia con degli strumenti e trova un modo brillante per mappare il mondo subatomico senza davvero entrarci. Tutti, a partire da Scott, ne sono entusiasti. Tutti eccetto Janet van Dyne (Michelle Pfeiffer) che, quando il segnale lanciato nel Regno Quantico trasporterà accidentalmente tutti al suo interno, si ricorderà di non aver mai rivelato un terribile segreto sul suo passato e sul misterioso conquistatore Kang (Jonathan Majors), che aspetta soltanto di poter tornare in superficie, come vi spieghiamo nella recensione di seguito.

Il baricentro della Fase 5

Era solo questione di tempo: prima o poi Ant-Man, Wasp e tutti quelli al seguito sarebbero stati utilizzati per proseguire il discorso sulle infinite possibilità (anche di messa in scena) poste a disposizione dal concetto di Multiverso. È nella struttura stessa del personaggio e del suo background, che già ci aveva introdotti alla realtà di un microcosmo tutto da scoprire, la tendenza all’esplorazione di altri luoghi latenti che non vengono esclusi dalla tangibilità del quotidiano, perché sono lì e lì rimangono, in attesa di qualcuno che vi entri per caso.

Certo, Regno Quantico e Multiverso sono materie distinte, ma questo non preclude agli autori e ai produttori di Ant-Man and the Wasp: Quantumania” l’opportunità di provare a vedere cosa succede quando si comincia a sperimentare e a mescolare le carte, a innestare un elemento sull’altro e ad agganciare le due idee insieme.

Quantumania lo fa anche sul piano strettamente cinematografico: quando Lang e i van Dyne atterrano sul suolo microparticellare sembra quasi che approdino su un pianeta di una galassia lontana lontana all’interno della saga di Guerre stellari, soprattutto quando indotti a comunicare con popolazioni-altre che parlano una lingua incomprensibile e non comprendono gli usi umani pur somigliando in tutto e per tutto (e qui il primo elemento comico) a individui terrestri.

Allo stesso tempo l’ultimo atto di questo capitolo trasporta lo spettatore in una dimensione ricca di riferimenti al nuovo Star Wars di casa Disney, e il tutto rimanendo con i piedi ben saldi sul terreno Marvel. Pertanto non manca lo spazio dedicato a nuovi volti e personaggi inediti, come quello della giovane Cassie che si ritrova a compiere un coming-of-age attraverso gli ostacoli e il viaggio della supereroina.

Kang il Conquistatore, lo promette “Quantumania” con estrema chiarezza, sarà il baricentro di questa Fase 5 e potenzialmente di tutta la Saga sul Multiverso perché è un arcinemico quasi perfetto, con tutti gli attributi del dominatore crudele; quasi, perché sprovvisto del vigore delle motivazioni e della caratterizzazione psicologica che muovevano le azioni di Thanos, anche oggi l’antagonista più convincente di tutto il MCU.

Ed è probabilmente l’aspetto più problematico di questo terzo capitolo di Ant-Man, al netto della convincente interpretazione di un Jonathan Majors che il physique du rôle dimostra di possederlo: Kang è un villain con il giusto corpo, il giusto volto, ma allo stesso tempo privo di una scrittura incisiva.

Il risultato complessivo di questo esordio della Fase 5 è un capitolo vacillante, incerto perché non sa se rispettare fino in fondo la vocazione alla facezia che è propria di Ant-Man o se tentare di conferire al gioco un rilievo maggiore, uno scopo più grande.

Se in una prima metà “Quantumania” giova pienamente delle risorse del cosmo subatomico, costellando il percorso dei protagonisti di incontri con creature impossibili (l’essere gelatinoso che ha la fissa per “i buchi”) e comparse così esilaranti da volerne sempre di più (un Bill Murray sardonico come sempre), nella sua seconda parte il film cede all’incombenza della solennità. Ciò che ne consegue è straniante nella sua accezione meno positiva: un ibrido fra un film sui toni degli ultimi Thor, ma trattenuto nell’ironia, e un Ant-Man che si addossa nuovamente responsabilità più grandi di lui ma senza offrire una battaglia, uno scambio, un momento che sia memorabile nell’infinito e quasi asfittico flusso di oggetti e corpi in CGI che ruotano attorno ai personaggi senza regola.

Sul piano narrativo viene meno il senso dell’avventura, che avrebbe potuto (o forse dovuto) essere facilmente ritrovato in un’architettura del genere, e anche quello drammatico: perché no, non ci si aspetta di vedere Ant-Man soffrire, ma quantomeno di temere per il suo futuro, fosse anche per un solo secondo.

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Federica Cremonini

Il Voto della Redazione:

5


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