Alice e il sindaco – Recensione: l’ora della modestia e le responsabilità condivise

“Alice e il sindaco” – Recensione: l’ora della modestia e le responsabilità condivise 

“Dobbiamo creare un ponte tra le nostre radici più antiche e la modernità.”

“Alice e il Sindaco” pellicola vincitrice del Premio Europa Cinema Label alla Quinzaine des Rèalisateurs del 72° Festival di Cannes, porta in scena crudeltà e vuoti cosmici della politica odierna nel panorama francese e non solo. Una profonda ed acuta riflessione sulla veridicità delle intenzioni e sulle possibili, ma altamente improbabili, connessioni tra filosofia e potere di machiavellica memoria.

Paul Theraneau, Fabrice Luchini, è il sindaco di Lione che, dopo 30 anni passati nella politica, facendo delle sue intuizioni la chiave per il successo, si trova all’improvviso in crisi di idee e in pieno vuoto esistenziale. Nonostante i numerosi consigli indirizzati a risolvere i suoi problemi attraverso sedute di psicoterapia, Theraneu persegue il suo volere e si rifugia nella sete di “conoscenza”, assumendo in comune la giovane e bella Alice.

“Sono una macchina da corsa senza benzina”.

Alice, Anais Demoustier, brillante filosofa, contraltare di un mondo schiavo della “comunicazione”, fatica ad entrare in contatto con il sindaco, che percepisce distante fin dai primi contatti, quasi icona di “una politica che instupidisce”. Ma i due, poco a poco, tra dubbi, dilemmi e quesiti esistenziali si avvicinano, mettendosi in reciproca discussione e diventano l’una il bastone dell’altro.

Theraneu è oramai solo l’ombra di se stesso, un personaggio che si trascina stancamente, quasi per inerzia e con Alice riprende lo smalto dei tempi andati, ma al contempo torna a riflettere ed avverte un’impotenza infinita.

“Gli scienziati non decidono nulla se i politici non li stanno a sentire”.

Dialoghi continui che lasciano emergere una visione inquietante, insieme a conflitti e fragilità di una sinistra in crisi, una società dove vince chi ha smesso di pensare, esistono solo banchieri ed esperti di marketing in una collettività vuota e sorda, dove è necessaria una presa di coscienza e un cambiamento in linea con le proprie idee.

“Un tempo le scuole di ingegneria formavano ingegneri e non banchieri”.

Alice e Paul sono due generazioni distanti, che la politica e il sociale hanno posto davanti ad un bivio, la prima capace di minare certezze e gerarchie ai vertici, ma incapace di dare un senso ed un fulcro al suo microcosmo ed il secondo, pregno di passione e rispetto, ma ossessionato dalla malinconia dei rimorsi.

Personaggi densi di sfaccettature e complessi, abilmente strutturati e studiati anche nelle inquadrature che raccontano il lento avvicinamento tra i due. E campo e controcampo iniziali cedono così il passo ad un’unica inquadratura e poi al piano sequenza finale.

“La politica è come la musica e la pittura: è tutta la vita, o tutto o niente”.

Un saggio sulla politica e sullo sviluppo dell’urbanistica, che riesce ad affrontare lo spinoso conflitto tra politica ed etica della natura, lambendo la salvaguardia del pianeta e delle specie e puntando i riflettori sull’ambiente e l’entourage comunale e governativo.

Nicolas Parisier omaggia esplicitamente il “cinema parlato” di Eric Rohmer e il suo concetto di mistificazione della parola contrapposta alla realtà della Natura, ispirandosi al celebre “L’albero, il Sindaco e la mediateca”. Il lungometraggio di Parisier è un’opera raffinata e colta che si snoda tra giochi e dibattiti aspri, logiche moderniste ed ecologia, sostenendo comunque la fascinazione per la bellezza naturale in ogni senso.

Come la “Novelle vague” di Rohmer anche “Alice e il sindaco” mostra un’indifferenza verso i ritmi cinematografici puntando il vero senso più nei dialoghi che nelle inquadrature ed unendo intrattenimento e riflessione.

“In che momento la Francia ha deciso di uccidere se stessa?”

Un sentimento di nostalgia accompagna lo sguardo alla democrazia odierna, unica pecca la mancanza di umorismo che si rinchiude in un concetto eccessivamente enfatico, chiave della narrazione, tra citazioni colte di Rousseau e Mario Vargas Llosa. Una colonna sonora armoniosa che con “Il chiaro di luna” di Debussy avvolge e corona un’intima confessione finale, sigillo del cambiamento, senza che nulla cambi.

“Se bisogna essere giusti per gli altri, bisogna essere sinceri per se stessi: un omaggio che l’onest’uomo deve rendere alla propria dignità” – Le fantasticherie del passeggiatore solitario – J.J. Rousseau

Chiaretta Migliani Cavina

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