Prey – Recensione: il capitolo alle origini di Predator, arricchisce il franchise

“Prey” – Recensione: il capitolo alle origini di Predator, arricchisce il franchise

Alla 52esima edizione del Giffoni Film Festival, arriva Prey”, il nuovo capitolo – quinto in ordine cronologico, ma che va a inserirsi prima del film originale del 1987 – del franchise “Predator”. Diretto da Dan Trachtenberg, il film farà il suo debutto in streaming sul canale Star, all’interno di Disney+, venerdì 5 agosto 2022.

Al centro delle vicende, troviamo due fratelli appartenenti alla tribù dei Comanche, Naru (interpretata da Amber Midthunder) e Taabe (Dakota Beavers). I due giovani guerrieri si ritrovano alle prese con una minaccia aliena, la cui personificazione è, appunto, Predator.

Ambientato nel 1719, nel bel mezzo di foreste pluviali rigogliose e piene di insidie, il film vanta, come suo punto di forza, l’incontro/scontro tra esseri umani e creatura extraterrestre. Il concetto di “preda” – da cui il titolo – cambia di volta in volta, vedendo prima gli uni, poi l’altro, a simboleggiarlo.

Nel corso dei circa 90 minuti di durata, Naru subisce una trasformazione profonda, al termine della quale matura. Non è solo l’età adulta quella che lei raggiunge, quanto piuttosto una sua identità e autorevolezza, all’interno della sua stessa tribù. Se all’inizio la vediamo sempre lasciata indietro, costretta ai margini, a nascondersi, mentre segue il fratello maggiore e il resto dei suoi compagni (tutti rigorosamente maschi), alla fine è lei a ottenere un ruolo di comando. Figura nevralgica, sia per quanto riguarda le vicende, che, soprattutto, per il suo essere rappresentante del genere femminile, Naru si rivela una delle migliori supereroine moderne.

L’emancipazione della giovane donna passa attraverso tutta una serie di situazioni e ne esce integra, seppur cambiata. La violenza, il sacrificio, la risolutezza sono aspetti che la caratterizzano e ne vanno a sfumare la personalità. Spetta a lei guidare la sua gente – e il pubblico – oltre il pericolo, a ogni costo. La Midthunder, nella realtà membro dei Sioux, e nota sul piccolo schermo per la serie “Roswell, New Mexico”, ha una fisicità e una presenza scenica perfette, di impatto. Mettendole in risalto lo sguardo, scuro e profondo, con il trucco che ricorda quello di Michelle Rodriguez in “Avatar”, canalizza l’attenzione: che scatti tra gli arbusti o si nasconda nell’acqua, che venga risucchiata dalle sabbie mobili o afferri un’arma al volo, impossibile distogliere gli occhi da lei. Motivo per cui diventa naturale prendere le sue parti, fare il tifo per questa creatura senza paura, scaltra, determinata, umana.

Mentre la lotta contro l’essere alieno caduto sulla Terra prende forma, richiamando alla mente alcuni dei momenti topici della pellicola originale, sulla scena compare un nuovo fattore con cui fare i conti. Il colonialismo irrompe nelle esistenze dei protagonisti, mostrando il lato più gratuito della violenza, la crudeltà dettata da mire espansionistiche, interessi economici e un ego smisurato. Dal confronto tra invasori, Predator ne esce, in un certo senso, in una luce migliore. In fondo, le sue sono spesso risposte agli attacchi, e non semplici atti volti a stabilire chi è il più forte.

Oltre a ciascuna di queste suggestioni, una più interessante dell’altra, Prey” riesce a inserirsi alla perfezione nel genere dell’azione, rivelandosi un progetto interessante e capace di arricchire il franchise alla base.

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Sabrina Colangeli 

Il Voto della Redazione:

7


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