“Il Sequestro”: dall’8 luglio al Festival Teatrale di Borgio Verezzi

“Il Sequestro”: dall’8 luglio al Festival Teatrale di Borgio Verezzi

PipaMar srl e La Bilancia Soc. Coop presentano: “Il Sequestro”, opera spagnola inedita in Italia, scritta dall’attore di cinema, televisione e teatro – già rivelatosi anche drammaturgo di successo con “L’estinzione dei dinosauri” – Francisco (Fran) Nortes; è stata allestita con enorme consenso di pubblico nelle passate stagioni oltre che in Spagna anche in Argentina, Cracovia, Messico, Panamá, Repubblica Dominicana, Uruguay, Varsavia.

Il mercato rionale non può chiudere! Per sventare la speculazione edilizia che metterebbe sulla strada decine di famiglie, fra cui la sua, il buon Paolo pensa bene di sequestrare il giovane Angelo, figlio dell’autorità che si accinge a firmare il decreto. Ma non ha fatto i conti con l’intraprendenza della vulcanica sorella Monica. E ancor meno con la ingenua sventatezza del cognato Mauro, che garantisce un’inarrestabile serie di esilaranti equivoci e fraintendimenti. E se la ministra, come previsto, è sicuramente una cinica farabutta, c’è chi si rivela anche peggio di lei. Lo scopriranno presto i volenterosi, ma sgangherati protagonisti interpretati da un irresistibile quintetto di attori – di questa perfetta macchina teatrale.

Paolo, il sequestratore – Nino Formicola

Mauro, il cognato – Roberto Ciufoli

Monica, la sorella – Sarah Biacchi

Angelo, il sequestrato – Daniele Marmi

Ministra, madre di Angelo – Alessandra Frabetti 

Note di regia di Rosario Lisma

Come si può far ridere raccontando un dramma? Come si può denunciare un’emergenza in una commedia comica? Eppure, Fran Nortes col suo testo spericolato e geniale c’è riuscito. Quando mi sono imbattuto ne “Il Sequestro” ho subito capito di trovarmi di fronte a un meccanismo comico preciso come un orologio. Ma ancora di più, tra i miei scoppi di riso, mi ha stupito il fatto che i temi che tratta sono tutt’altro che divertenti. Sono il dolore e la frustrazione che troppo spesso subisce la working class della nostra società capitalista, sazia e distratta. Un vaudeville in una denuncia. La farsa esilarante in un racconto di lotta.

Georges Feydeau in Ken Loach.

È sempre eccitante per chi fa teatro raccogliere la sfida di camminare sul filo temerario degli opposti, far coincidere l’alto e il basso, la luce col buio, il divertimento con l’indignazione. Credo fortemente che la risata sia da sempre – dall’origine del teatro, quindi dell’umanità – la forza più dirompente, per spostare la mente di chi guarda. Da Aristofane a Chaplin, fino ai giorni nostri, la commedia ha mostrato come lo scuotimento fisico e muscolare dei nostri sensi abbia spesso portato a uno spostamento della nostra consapevolezza sui temi più profondi della nostra Coscienza e del nostro vivere civile.

È ciò che accade in questa commedia, esilarante, ma i cui protagonisti sono schiacciati da una grave ingiustizia. Il potere politico ed economico, cinico e disonesto, troppo più grande di loro, li scarta come non esistessero. Ma i nostri eroi, buffi e storti come fiori sradicati, attivano la loro ribellione disperata per provare a rimettere radici e rifiorire. Alla riconquista della parola più preziosa per sé e per gli altri, che sempre bisognerebbe difendere con le unghie e con i denti, che ridono per tutto il tempo dello spettacolo: la dignità.

La Redazione


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