“Le Fate Ignoranti”: la morte come ogni fine contiene un inizio

“Le Fate Ignoranti”: la morte come ogni fine contiene un inizio

Ferzan Ozpetek torna a raccontare quelle stesse creature che avevano affascinato, commosso, emozionato e conquistato a tal punto il pubblico tanto da trasformare l’omonimo film in cult, e sulle quali, come dimostrato da questo nuovo ed ambizioso progetto, c’è ancora tanto da scoprire. Così traghetta “Le Fate Ignoranti” dal grande al piccolo schermo (dal 13 aprile in esclusiva su Disney+).

La serie in 8 episodi è la prima originale italiana per il servizio streaming della Casa di Topolino: diretta dallo stesso regista assieme a Gianluca Mazzelli, suo collaboratore da oltre vent’anni, e scritta con Carlotta Corradi e Massimo Bacchini.

Quando Massimo, il marito di Antonia, rimane ucciso in un incidente, la donna scopre che l’uomo aveva una relazione con un ragazzo, Michele. Devastata dalla notizia, si ritrova a indagare sulla vita segreta del marito e stringe un’amicizia inaspettata e coinvolgente proprio con lui e la sua cerchia di amici eccentrici (che erano per suo marito quasi una seconda famiglia). Grazie a tutti loro lei riuscirà a cambiare il suo punto di vista sulla vita, ma imparerà di nuovo ad amare?

“La morte come ogni fine contiene un inizio”

Una sfida senza alcun dubbio coraggiosa quella affrontata dal regista turco naturalizzato italiano, dal momento che è sempre estremamente rischioso riprendere una storia di 20 anni prima (perfetta così come era): il film è stato in grado di aprire le porte di un mondo verso il quale si continuava a voltare le spalle, quasi facendo finta di niente, e ha lasciato un segno forte nell’animo di ognuno di noi.

Un rischio legato non solo alla difficoltà di dover mantenere quella profonda intensità all’interno di un arco narrativo ovviamente più lungo e frazionato, ma soprattutto ai tempi che cambiano: nonostante i tanti muri e discriminazioni, ciò che allora era considerato ‘diverso’ oggi è la ‘normalità’. La prospettiva e la considerazione nei confronti delle tematiche Lgbt+ è cambiata: non ci si scandalizza più nel vedere due uomini o due donne che si baciano, che decidono di costruire una vita insieme, di adottare e crescere dei figli, di conseguenza il timore che quelle sensazioni potessero andare perse, trascinando la storia verso un percorso scontato, melenso, senza più nulla da dire, era una possibilità molto concreta.

Ma Ozpetek non ha avuto paura, ha accettato la sfida e grazie ad uno sviluppo che non tradisce la sua unica e innata sensibilità è riuscito a toccare e graffiare. Ha mostrato il cuore di quell’intrigante e variopinto micro – cosmo, un mondo vivo, fatto di un’umanità ben lontana dal falso perbenismo.  A volte si sceglie questo scudo d’ipocrisia per paura di essere giudicati e allontanati, troppo spesso vi nascondiamo il nostro vero essere. Ozpetek no: senza snaturarne la passione originaria, il senso e il significato, ne ha ampliato l’anima portando alla luce ed approfondendo, attraverso più punti di vista, le varie e differenti sfaccettature e sfumature.

Le incarna un cast corale che fa emergere brillantemente ciascun personaggio, con la propria identità, in particolare i tre protagonisti: Massimo/Luca Argentero, che qui ha giustamente uno spazio maggiore, Michele/Eduardo Scarpetta, e Antonia/Cristiana Capotondi, con quest’ultimi che si staccano dalle precedenti interpretazioni di Stefano Accorsi e Margherita Buy.

Uno sguardo, un quadro curato e una visione dettagliata e viscerale. Un viaggio intimo con la voce di Mina e il suo “Buttare l’amore” ad accompagnarci.

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