“L’Ombra del Giorno”: Giuseppe Piccioni, Riccardo Scamarcio e Benedetta Porcaroli raccontano un’intensa storia sullo sfondo di uno dei periodi più cupi

“L’Ombra del Giorno”: Giuseppe Piccioni, Riccardo Scamarcio e Benedetta Porcaroli raccontano un’intensa storia sullo sfondo di uno dei periodi più cupi

Al cinema dal 24 febbraio, distribuito in 250 copie da 01 Distribution, “L’ombra del giorno”, il film diretto da Giuseppe Piccioni con protagonisti Benedetta Porcaroli e Riccardo Scamarcio, produttore anche del progetto attraverso la sua Lebowski in collaborazione con Rai Cinema.

Siamo nel 1938, e ad Ascoli Piceno è un giorno qualunque, come in qualunque altra città di provincia italiana. I tavoli sono apparecchiati e Luciano ha appena aperto il suo ristorante. Dalla vetrina vede un corteo ordinato di bimbi di una scuola elementare, accompagnati da una maestra. Camminano disciplinati sul marciapiede al sole, in fila per due, con i loro grembiuli infiocchettati e i capelli pettinati con cura. Luciano è tentato di credere a quell’immagine di serenità, di fiducia nel futuro. Ha un’andatura claudicante a causa di una ferita della prima guerra mondiale, un ricordo permanente della ferocia di quel conflitto. Dietro le ampie vetrine che danno sull’antica piazza scorre la vita di quella piccola città in quegli anni. Sono gli anni del consenso, delle opere pubbliche, e delle nuove città. Luciano è un fascista, come la maggior parte degli italiani in quel periodo, ma lo è a modo suo; ha preferito rimanere in disparte e si è tenuto lontano dall’idea di trarre vantaggio dalle sue decorazioni di guerra e dalla militanza ottusa e obbediente nelle gerarchie del partito. Però si sente partecipe di quel generale entusiasmo, nonostante per indole tenda a occuparsi solo dei fatti propri, perché “il lavoro è lavoro”: quello che gli sta a cuore è il suo ristorante e i compiti quotidiani a cui lui si dedica con scrupolo taciturno. Finché fuori dalla vetrina, appare una ragazza. Mi chiamo Anna Costanzi, gli dice, e timidamente chiede se cercano personale. Di lì a poco l’avvento di quella ragazza e le prime evidenti crepe che si evidenziano in quel mondo che guarda dalla vetrina cambieranno la vita di Luciano. Com’è strana la vita, pensa Luciano. Un tempo, del suo lavoro, gli piaceva proprio essere affacciato sulla strada, guardare la gente che passeggiava, che correva in fretta al lavoro, gli dava l’illusione di essere insieme a quelle persone, al loro stesso livello. Adesso invece tutto si confonde e ogni giorno si rinnova la sorpresa. E ha il volto di Anna. Ora, in entrambi, si è fatto strada un sentimento, qualcosa a cui Luciano aveva rinunciato da tempo. Ma quella giovane donna ha un segreto…

Una storia d’amore forte con sullo sfondo un periodo che ha segnato nel profondo non solo l’Italia, bensì il mondo intero, e raccontata dal regista con particolare suggestione e intensità.

“Abbiamo scelto di realizzare questo film in un momento di forti incertezze, specialmente per quanto riguarda il luogo di ambientazione della storia” – svela il regista Giuseppe Piccioni rompendo il ghiaccio e dando il via alla conferenza avvenuta in occasione della presentazione alla stampa del film in anteprima – “Un giorno mi trovavo ad Ascoli e mentre ero seduto in piazza a prendere un caffè in un celebre locale, considerando la nostra ricerca di un ambiente plausibile dal punto di vista storico e possibilmente in grado di aggiungere qualcosa alla storia, ho pensato che quel caffè e la città stessa, che sono una sorta di luogo dello sguardo, fossero giusti. Ascoli offre l’opportunità di guardare il mondo attraverso gli spiragli, i colonnati, i vicoli, le vetrine, e che, come si può vedere nel film, non è claustrofobica ma da una visione che respira con la semplicità di un libretto d’opera, un aspetto quasi teatrale che permette di entrare nel luogo descritto nella narrazione. Ascoli ha dato al film un valore ancora più grande, nonostante le circostanze in cui ci trovavamo, perché eravamo in piena zona rossa” – prosegue – “E’ una storia complessa che ho scritto prima della pandemia assieme al mio compagno di vecchie avventure che è Gualtiero Rosella, e ad Annick Emdin, una giovane sceneggiatrice pisana che ho conosciuto a una master – class all’Accademia Silvio d’Amico. Una delle qualità del film è che non fornisce delle risposte ma suscita degli interrogativi. Abbiamo parlato di un mondo che non volevamo fosse semplicemente relegato sui libri di storia, e in cui tentiamo di raccontare la vita di tutti e una storia d’amore che può riguardare ognuno di noi. Abbiamo cercato di raccontare il clima di quel periodo, e vogliamo che questo film esca in sala, perché andare in sala vuol dire uscire, incontrare gente e questo è meraviglioso. Vogliamo veramente isolarci restando chiusi in casa a vedere le serie tv e le partite? No. Non scherziamo.”

“Giuseppe mi chiamò i primi di gennaio dello scorso anno” – dice Riccardo Scamarcio volto di Luciano“Avevo da poco preso in mano la produzione del film, in maniera anche abbastanza rocambolesca, e dato il basso budget a disposizione stavo cercando di far quadrare tutto. Così quando mi propose di girare il film ad Ascoli gli risposi di no, dal momento che le riprese dovevano iniziare a marzo e i costi sarebbero stati troppo alti. Mi mandò in ogni caso delle foto e quando le vidi pensai che fosse un posto pazzesco, così lo richiamai subito e gli dissi: ‘mi rimangio tutto quello che ho detto e venerdì andiamo ad Ascoli’. Così il venerdì successivo ci mettemmo in macchina e da Roma andammo ad Ascoli assieme all’organizzatore, e da lì poi partito tutto perché in effetti aveva ragione” – spiega Scamarcio“Era il posto ideale per ambientare questa storia. Ciò che mi ha spinto ad accettare ad interpretare e produrre, è stato in primo luogo l’amicizia con Giuseppe che dura da tanti anni. Noi siamo diventati prima amici e poi abbiamo iniziato a lavorare insieme. Ho letto il copione tutto di un fiato, e da tempo non mi capitava leggere uno scritto così preciso su un momento storico importante, con questo senso di paura che aleggia ed ha delle analogie con la situazione contemporanea. Ho subito pensato che avesse la caratura del grande cinema italiano. Se siamo riusciti a fare questo film è perché tutte le persone coinvolte hanno dato il proprio contributo non solo professionale ma anche per la passione che nutrito nei confronti di questo lavoro. A me piace fare degli abiti su misura, artigianali e questo lo è” – conclude parlando del personaggio – “A differenza di Luciano, io non ho la sua moralità, siamo un po’ diversi. Mi sono ispirato inconsciamente a mio padre, e me ne sono reso conto dopo. Faccio delle cose in questo film dei gesti, che faceva mio padre e mi ha colpito questo. E’ un figura che soffre in silenzio, e porta un dolore che non mostra.”

“Il film mi ha parlato sotto tanti punti di vista” – afferma Benedetta Porcaroli che veste i panni di Anna“Lavorare con Giuseppe è stato un passo fondamentale per me, il copione è qualcosa di formidabile perché sono pochi gli scritti che permettono ai personaggi di avere un’evoluzione così densa e intima rispetto anche a delle dinamiche noi non conosciamo, perché si muovono in un’epoca e un mondo che non conosciamo, e che sono stati ricreati da una sceneggiatura con una struttura solida e precisa. Il mio personaggio racchiude tanti aspetti, la condizione femminile di quei tempi, l’emotività che era meno tangibile e immediata, un linguaggio che non è convenzionale perché si trattava di un modo diverso non di parlare ma di sentire. E’ stato come se mi fossi immersa in una specie di bolla dove tutti noi vivevano una condizione del nostro periodo storico che a tratti ricordava quella paura, quell’inquietudine e quell’incertezza che raccontavamo di quegli anni” – chiude dicendo – “E’ un personaggio che per alcuni aspetti mi somiglia, perché anche io come Anna credo in un mondo migliore e ho fiducia nel genere umano. Anna porta una rivoluzione all’interno di questo ristorante e di quest’uomo che si era chiuso all’amore. Ho analizzato il mio personaggio ma non l’ho giudicato per le sue scelte considerando l’epoca, i doveri e le rinunce che questa comportava, e che rispetto profondamente.”

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