Matrix Resurrections – Recensione: E’ tempo di tornare alla sorgente

“Matrix Resurrections” – Recensione: E’ tempo di tornare alla sorgente

“Sono alla fine le stesse storie di sempre con nomi e volti e diversi”

Quando usciva “Matrix” era il 1999 e il mondo stava cambiando, si stava consumando una rivoluzione, la stessa rivoluzione che Lana e Lily Wachowski, portarono nel mondo del cinema con la loro saga dalle tinte cupe che sapeva coniugare alla perfezione filosofia, politica, decostruzione e raccontava un mondo distopico che scorreva la le sequenze di infiniti bite, la fine di un sogno, che ne spalancava un altro. Ed ora 22 anni dopo e dopo infinite trattative con la Warner Bros, siamo ancora qua per dare nuova vita alle avventure di Neo, Trinity e Morpheus attraverso un film che permette il riaccendersi della scintilla della rifondazione con l’alone interminabile del mito, per poi esplodere in qualcosa di diverso.

Perché tornare dopo tutto questo tempo? Perché correre questo rischio? Riuscirà a ripetere il successo del primo? Tutte domande senza risposta, eppure per Lana Wachowski era il momento.

“L’unica cosa che conta per te è ancora qui. E’ per questo che ancora combatti… e non ti arrenderai mai”

Thomas Anderson è un famoso sviluppatore di videogames, incluso il successo mondiale che lo ha insignito di infiniti premi, ovvero: Matrix, un progetto nato da strani sogni che lo tormentano e a cui lui cerca di dare un senso grazie all’analisi e alle pillole blu che il suo analista gli prescrive per rimanere lucido. Thomas è attratto da una donna che incontra spesso in un bar, Tiffany, madre di due figli e appassionata di moto, e quando i due finalmente si conoscono, entrambi hanno alla forte sensazione di un deja vù. Tuttavia, fuori da Matrix, la ciurma della nave Mnemosyne trova una stringa privata del gioco lanciata forse proprio da Neo, e Bugs il capitano della nave scoprirà che non sono gli unici ad aver seguito la traccia.

“Matrix Resurrections” riparte da questa nuova dimensione, riportandoci in una storia che parte dalle origini e ci riporta nello stesso universo che conoscevamo, in una prima parte molto interessante in cui innesca il legame rievocando alcune delle sequenze chiave della prima pellicola insieme a concetti e riflessioni interessanti sulla rottura della quarta parete, e che ridistribuisce ruoli e situazioni proprio come in un videogame.

Neo e Trinity si riscoprono come figure ordinarie, umane, anche se piene di dubbi in questa nuova vita, che sembra lontana dalle certezze nella fede dell’eletto, ma attraverso loro il mito viene rigenerato, la stessa storia con nuovi volti nei ruoli chiave, un racconto che ingoia la pillola blu calandosi in una “realtà” se non proprio ideale, ma “attuale”, che ancora gioca con i codici attraverso la figura di un game designer a cui sono stati attribuiti i più illustri premi.  E così scopriamo che i rivoluzionari digitali di una volta ora non sono altro che nerd smidollati senza uno scopo, mentre colossi senz’anima continuano a usare internet come uno strumento di controllo innescando una meta-narrazione che, con diversi punti di vista, muove feroci critiche al mondo reale.

Il nuovo capitolo della saga così si rivela un film su “Matrix”, più che un nuovo “Matrix” e per questo il primo atto fa la differenza, catapultandoci in questo universo da Alice nel paese delle meraviglie dove è fondamentale il costante richiamo alla scelta tra pillola rossa e blu, enfatizzata anche dalla colonna sonora, su tutte “White Rabbit” dei Jefferson Airplane.

Ciò nonostante la messa in scena risulta troppo ordinaria, lontana dalle coreografie spettacolari ed eccentriche a cui “Matrix” ci aveva abituato con la complicità del Bullet Time, quella tecnica di ripresa che permetteva di avere una visuale a tutto tondo di un’oggetto ed un’azione, chiave anch’essa del successo del primo episodio. Scene di combattimento prive della perfezione sempre presente nei capitoli precedenti, ed inserite quasi come se fossero dovute, perché “Matrix” non sarebbe tale senza scene di lotta.

Anche il ritmo ha dei cali strutturali evidenti nella parte centrale, insieme ad un andamento ondivago che sposa alcune lacune narrative e la scelta sbagliata in merito ad alcuni personaggi, finendo per trovarsi di fronte ad un Morpheus che è solo una copia sbiadita dallo stile esageratamente trendy e un agente Smith totalmente privo della cattiveria innata e del magnetismo. Si percepisce il legame indissolubile con i fondamenti che hanno dato vita all’opera, che però diventano solo un mezzo per critiche feroci interminabili e così nel tentativo di inscenare qualcosa di nuovo, ma nato dalla costola di un passato determinante, si finisce per smarrire la bussola dando vita ad un circo “inanimato” e inutile.

“Prima o poi capirai, come ho fatto anch’io, che una cosa è conoscere il sentiero giusto, un’altra è imboccarlo”

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Chiaretta Migliani Cavina

Il Voto della Redazione:

5


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