Resident Evil: Welcome to Raccoon City – Recensione: una città dilaniata dalla pioggia che nasconde un oscuro segreto

“Resident Evil: Welcome to Raccoon City” – Recensione: una città dilaniata dalla pioggia che nasconde un oscuro segreto

“Un liquido che inquina ed uccide ed una città intera che verrà distrutta entro le 6”

Arriva sugli schermi la rivisitazione del franchise della famosa saga videoludica con un ritorno quasi maniacale alle origini, con un percorso molto più horror rispetto alle trasposizioni di Paul W. Andersen, che anche qui non manca comunque di comparire tra i produttori esecutivi.

Il reebot di “Resident Evil”, diretto da Johannes Roberts, ripercorre in modo perfetto tutte le ambientazioni e le ambizioni orrifiche del materiale originale, fondendo due trasposizioni in una, quelle di “Resident Evil 1” e “2”, con qualche difficoltà e diverse lacune nell’approfondimento necessario.

Raccon City 30 settembre 1998, una data indimenticabile.  Strani casi di omicidio e cannibalismo nella cittadina del MidWest spingono la squadra Bravo della S.T.A.R.S. ad indagare sull’accaduto. Quando misteriosamente scompare viene inviata una seconda squadra, la squadra Alpha, composta, tra gli altri, dagli agenti Chris Redfield, Jill Valentine e Albert Wesker. Questi si addentrano nella villa Spencer scoprendo orribili esperimenti illegali portati avanti dalla Umbrella Corporation e si ritrovano a combattere contro esseri mutati dal Tyrant Virus, zombie, diffusi oramai senza controllo in tutta la città, oscuro alveare di morte e distruzione.

In città è arrivata anche Claire Redfield, sorella di Chris, venuta a cercarlo dopo cinque anni, al corrente del pericolo che si insinua nelle strade della sua vecchia città. Al distretto è anche il primo giorno di servizio per Leon Scott Kennedy, novello poliziotto, che si trova insieme a Claire a dover affrontare una massa informe di zombie feroci ed affamati che hanno sotto scacco l’intera cittadina.

La scena di apertura della pellicola torna indietro negli anni, quando Claire e Chris erano bambini, all’orfanotrofio di Raccon City, mentre Claire era minacciata dalla presenza inquietante del Dott. William Birkin ed osservata attentamente da una bimba dall’aspetto informe, Lisa, che diceva di abitare “sotto di loro”.

Anni dopo, lo stesso dottore, che Chris nel periodo da solo ha visto come un padre, si scopre essere l’artefice dei loschi piani legati all’Umbrella, creatore dell’evoluzione del virus progenitore, in grado di legarsi al DNA di alcuni ospiti donandogli, forza, velocità e dimensioni sovrumane.

La stazione di polizia con quell’incombente scritta “RPD”, il cartello di benvenuto alla città, la foresta di Arklay che lascia intravedere l’entrata della villa Spencer, la pioggia che bagna incessantemente le insegne al neon di qualche solitario vicolo di Raccoon City, sono tutti elementi interessanti, ma totalmente copia del videogioco originale, come le inquadrature stesse.

Peccato che questa forma estetica interessante non corrisponda al resto: i personaggi, la recitazione degli interpreti, la storia, la CGI e la sceneggiatura.

Una storia divisa in tre macroaeree, il distretto, l’orfanotrofio e la villa, quasi del tutto priva di veri jump scare, ma orrifica nel richiamo ad alcuni elementi narrativi e citazioni.

Il problema sta nella scrittura soprattutto dei personaggi, ad alcuni tratti fastidiosi e insulsi e nella resa di alcuni attori. Una scrittura che, volendo racchiudere in 107 minuti l’intero contenuto delle prime due opere, porta necessariamente alla perdita di qualche elemento ed all’appiattimento della storia.

Fuori la Alice dalle capacità sovrumane della Jovovich, dentro i più che umanissimi protagonisti dei videogame: la Claire Redfield di Kaya Scodelario, suo fratello Chris/Robbie Amell, Jill Valentine/Hannah-John Kamen, Wexler/ il fisicatissimo Tom Hopper, Leon S. Kennedy/Avan Jogia, e altri ancora, tra cui William Birkin come villain della Umbrella, interpretato da Neal McDonou.

I personaggi sono troppi, quasi da confondere lo spettatore, i costumi piuttosto banali, seppur simili al gioco originale e con lo stesso livello estetico bassissimo e la mole di situazioni è così alta da sembrare in alcuni punti alquanto ridicola. La narrazione in alcuni passaggi subisce dei cali di ritmo in troppe scene statiche e dialogate, mentre il finale sembra voler accelerare improvvisamente e diventa frenetico e frettoloso, con interi archi narrativi conclusi nell’arco di pochi frammenti. Bello il ritorno alle origini, avvincente il gioco di citazioni carpenteriane, belle le location, ma la resa non convince e risulta un pò caotica e banale, un vero peccato, con più attenzione e meno ambizioni sarebbe stato un horror di ben altro livello. Ma forse non era questa l’idea…

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Chiaretta Migliani Cavina

Il Voto della Redazione:

5


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