Galveston – Recensione: il road movie esistenziale firmato Nic Pizzolato e Melanie Laurent

“Galveston” – Recensione: il road movie esistenziale firmato Nic Pizzolato e Melanie Laurent 

Tratto dall’omonimo romanzo del 2010 di Nic Pizzolatto (“The Killing”, “True Detective”), quello di Galveston” (2018), diretto da Mélanie Laurent (“Les Adoptés”, “Respire”, “Plonger”) è un road movie atipico, dalle tematiche mature legate al crepuscolo della vita. Le carte in regola affinché il film distribuito in Italia da Movies Inspired dal 6 agosto 2020 fosse un successo, c’erano tutte, eppure in “Galveston” qualcosa non sembra quadrare, partendo dalla genesi creativa.

Il racconto di Pizzolatto, ipotetico punto d’incontro narrativo tra La rabbia giovane (1973) di Terrence Malick e Via da Las Vegas (1995) di Mike Figgis, ha avuto enormi problemi nella sua trasposizione cinematografica, a partire da quel Jim Hammett nei credits.

L’uso dello pseudonimo deriva da una differente visione realizzativa tra lo stesso Pizzolatto e la Laurent. A detta del produttore Tyler Davidson, la Laurent aveva una “visione ben specifica del film che voleva fare, e il team produttivo l’ha supportata pienamente […] che ha incluso anche contributi significativi alla sceneggiatura”. Da quanto risulta però, il risultato ottenuto non ha soddisfatto pienamente Pizzolatto, che ha scelto così di dissociarsi dal progetto a livello formale, per mezzo del sopracitato Jim Hammett.

Nel cast dello “sfortunato” “Galveston” figurano Ben Foster, Elle Fanning, Beau Bridges, Lili Reinhardt e Marìa Valverde.

Galveston: la sinossi del film di Mélanie Laurent

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La vita di Roy Cady (Ben Foster). criminale al servizio di un boss di New Orleans, Stan (Beau Bridges), cambia completamente nel momento in cui gli viene diagnosticato un cancro terminale ai polmoni. Carmen (Marìa Valverde) – l’ex ragazza di Roy l’ha lasciato per il suo capo, che adesso vuole sbarazzarsi di lui. A seguito di un’imboscata ordita dallo stesso Stan, Roy riesce a uscirne miracolosamente vivo. Nella fuga, l’uomo si imbatte in Rocky (Elle Fanning), una prostituta appena adolescente, vittima di torture gratuite da parte degli autori dell’imboscata.

Inizia così un’avventura “sulla strada” in cui Roy e Rocky si conosceranno, cercando conforto l’uno nei traumi dell’altro. Ma i fantasmi del passato emergeranno prepotentemente, e quella che poteva essere una fuga verso un mondo migliore, finisce con il divenire un vicolo cieco.

Galveston: Sulla strada

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A partire dalla sequenza d’apertura è chiaro come quello di “Galveston” sia un racconto dal tono marcatamente nichilistica e melanconico che vive di un forte contrasto ritmico; ora veloce nello sviluppo e nella crescita della posta in gioco, ora dosato nelle dinamiche relazionali tra gli agenti scenici. Pizzolatto dispiega così un intreccio scenico a metà tra il road movie, e il dramma romantico, connotato di una natura da western urbano, nelle cui malinconiche atmosfere riecheggia il suono di quella libertà del sopracitato “La rabbia giovane”, senza però quella cura nei sentimenti, e di quella esplosiva tensione rivoluzionaria figlia della società degli anni Settanta.

Le strade inesplorate di Malick diventano un enorme vicolo cieco per la Laurent, in un racconto che si concentra tutto su una fuga “on the road” tra motel squallidi, luci al neon, modeste villette a schiera, gente in mutande che guarda partite di baseball e tenere prostitute che mangiano patatine in piena notte, davanti alla tv – ben trasposti da una regia dinamica nelle (poche) sequenze action e di primi e primissimi piani e campi lunghi con cui saggiare il contesto scenico e raccontare della solitudine dei protagonisti.

La narrazione di “Galveston”, gioca tutta sulle differenze scenico/relazionale tra il Roy di Foster e la Rocky della Fanning. Personaggi dagli archi narrativi tragici e maledetti rievocanti, in parte, i Cage e Shue del film di Figgis. Una dinamica relazionale che vive anche di contrasti recitativi e di sceneggiatura, perfino nel pronunciare le battute. Secche quelle di Roy, melodiose quelle di Rocky. Differenze stilistiche per uno sviluppo del rapporto tra i personaggi in scena fatto di ribaltamenti di fronte con cui dare dinamismo scenico a un racconto altrimenti decisamente sotto corda, figlio di svolte narrative spesso fiacche e “telefonate”.

Un’occasione sprecata

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Pur dotato di performance attoriali intense con un ottimo e misurato Ben Foster e una Elle Fanning squilibrata, forse leggermente fuori ruolo, ma strabordante emotivamente; “Galvestonnon decolla mai da un punto di vista drammaturgico. In una tensione che lentamente si spegne nel concept di una fuga senza una meta precisa e l’incontro con i fantasmi del passato.

Elementi decisamente utili per connotare il racconto di una forte componente esistenziale, ma che depotenziano la componente crime, andando così a naufragare in un ritmo decisamente troppo netto per un racconto che avrebbe avuto bisogno di un respiro diverso, più maturo, lento, dosato, permettendo così ai personaggi di crescere e vivere nel contesto scenico.

Un’occasione sprecata quella di “Galveston”, che collassa tra un minutaggio ridotto per un racconto dall’enorme potenziale, e un flashforward che spezza – del tutto – quei residui di tensione drammatica. Resta comunque la buona performance registica della Laurent, che pur essendo quasi totalmente alle prime armi, riesce a fare il possibile con il racconto di Jim Hammett/Pizzolatto, validissimo nel concept, ma che nello sviluppo in sceneggiatura risulta vittima dei contrasti tra visioni, finendo con l’essere lacunoso e (molto) poco approfondito.

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Francesco Fabio Parrino

Il Voto della Redazione:

6


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