“C’ERA UNA VOLTA A…HOLLYWOOD”: il RESOCONTO dell’INCONTRO STAMPA con Quentin Tarantino, Leonardo DiCaprio e Margot Robbie.

“C’ERA UNA VOLTA A…HOLLYWOOD”: il RESOCONTO dell’INCONTRO STAMPA con Quentin Tarantino, Leonardo DiCaprio e Margot Robbie.

Dopo aver sorpreso la critica del Festival di Cannes, Quentin Tarantino è volato alla volta delle varie città per presentare la sua nona ed attesissima fatica “C’ERA UNA VOLTA A….HOLLYWOOD”.

Una storia che si differenzia molto dalle precedenti, in grado di distinguersi mostrando ed affrontando in maniera matura, intima e personale, non solo il triste scemare del cinema dei fasti hollywoodiani de tempi d’oro, bensì le emozioni provate dai protagonisti di quel periodo, che hanno vissuto e fatto parte di quell’affascinante mondo.

Nostalgie, rammarichi e sogni che lentamente svaniscono a causa di un naturale, e forse necessario, processo di cambiamento, aprendo la strada ad uno scenario cinematografica tutto da scoprire, che affonda le proprie radici in quel tanto amato passato che Tarantino onora. Citazioni e riferimenti, che spaziando ed abbracciando gli indimenticabili e ricchi anni ’60/’70, culla inesauribile di successi, strizzano malinconicamente l’occhio ad una realtà in costante evoluzione e crescita.

Un punto di svolta che ribadisce ed afferma, come se ne ce fosse bisogno, l’infinito ed innato talento del regista sceneggiatore, il quale ripercorre gli anni formativi della sua carriera, ricreando i luoghi e i tempi che, in qualche modo, lo hanno positivamente colpito e segnato.

E proprio in occasione della premiere romana di “C’ERA UNA VOLTA A..HOLLYWOOD”, che abbiamo avuto la grande occasione di incontrare il regista assieme naturalmente agli interpreti Leonardo DiCaprio e Margot Robbie.

“Ho trovato la sceneggiatura brillante ed intelligente fin dal primo momento, con al centro lo stretto legame tra lo stunt Cliff Booth, di Brad Pitt, e l’attore Rick Dalton, da me interpretato, entrambi sul viale del tramonto” – dichiara Leonardo DiCaprio rompendo il ghiaccio – “Il film ha alla base il tentare di sopravvivere al circolo creato dall’inevitabile cambiamento della cultura e dell’industria hollywoodiana. Ed affronta semplicemente attraverso gli eventi che caratterizzano la vita di Dalton, e di chi gli era attorno. Io e Quentin abbiamo parlato a lungo su come far emergere l’anima di questa figura, forse bipolare, immaginando le situazioni adatte a portare alla luce i suoi veri sentimenti e l’angoscia nata dalla convinzione di essere oramai inutile, in una società che và tranquillamente avanti senza di lui.”

L’attore prosegue rispondendo alle domande riguardanti la possibilità avuta nel film di essersi immerso in titoli di successe del passato come “La Grande Fuga” e la serie “FBI”, e della responsabilità di essere divenuto un punto di riferimento per regsisti quali Tarantino e Scorsese.

“La parola responsabilità mi intimidisce molto. Amo il cinema da sempre, e ci vado fin da piccolo. Quando i giovani mi chiedono dei consigli su come diventare attore, io rispondo che il segreto è quello di vedere più film possibile, in modo da individuare il proprio eroe e seguirne le orme, per migliorarsi, crescere e distinguersi, creando una propria e definita personalità. Per quanto mi riguarda, è così che ho formato la mia identità. Ed ora rifletto sempre con chi lavorare e sia in grado di farmi entrare in contatto con il pubblico.”

Conclude riferendosi all’ambientazione e alla preparazione per il ruolo.

“Il 1969 è stato un anno davvero fondamentale per la storia ed il cinema americano. Nel preparami mi sono documentato cercando su google gli eventi accaduti e le pellicole uscite in quel periodo, così facendo mi sono immerso completamente in un’epoca di grandi registi e film. E’ stato un onore, un privilegio aver preso parte, anche se solo per finta, di opere come “La Grande Fuga”. Quentin è un cinefilo straordinario, ama molto il genere western anni ’50, conosce tutti i titoli, la tv e la musica. E’ grazie a lui e alla sua passione se sono riuscito ad entrare in contatto con lo spirito del film e dei telefilm western anni ’50.”

Da Leonardo DiCaprio, si passa a Margot Robbie, la quale veste i panni di Sharon Tate, allora moglie di Roman Polanski, barbaramente uccisa, assieme ad alcuni amici di famiglia, nell’abitazione di Los Angeles, da alcuni membri della family Manson. Massacro che sconvolse quegli anni, e cornice della vicenda raccontata da Tarantino.

“Per diversi punti di vista sono molto felice di lavorare in questo periodo storico. Ed essendo donna, devo dire che alcuni attuali cambiamenti erano presenti anche allora all’interno di questo ambiente. Amo moltissimo i film degli anni ’60/’70, racchiudono le forti evoluzioni del momento” – l’attrice ricorda un episodio collegato ad una delle scene girate – “Quando abbiamo girato la scena di Sharon Tate che chiede di poter entrare gratis al cinema per vedere The Wrecking Crew”, (la cui rivelazione del titolo in italiano ha fatto letteralmente ridere di gusto Tarantino in conferenza), poiché vi recita, Quentin mi raccontò che a lui accadde e fece la stessa cosa. Questo rende “C’era una volta” molto personale. Sono entrata a far parte del 1969, anno in cui non ero ancora nata, grazie ad una sceneggiatura che mi ha catapultata in quel periodo, scritta e curata nei particolari, dalla musica ai vari dettagli dei costumi e della scenografia. Un vero regalo per un’attrice. Non sò se mi capiterà ancora di poter vivere la medesima emozione su un set.”

E come dulcis in fundo vi abbiamo riservato le dichiarazioni dell’artefice di questa ennesima ed entusiasmante magia, tutta da assaporare e scoprire, come l’inaspettato finale del film, Quentin Tarantino.

“Nel corso di quegli anni sono avvenute tante cose, alcune delle quali viste con i miei occhi, e lo stesso vale dei film proiettati, dal momento che restavano in sala per un anno e si potevano facilmente recuperare, come ad esempio “The Wrecking Crew”. Conoscevo Dean Martin ed ero un suo fan così come lo ero di Jerry Lewis. Trovai Sharon Tate in quella pellicola molto divertente. Era una donna che sapeva come far ridere. Una ragazza carina ed affascinante anche quando cadeva. Impazzimmo tutti all’epoca, e ricordo di essere andato a vedere sui manifesti il nome dell’attrice. E’ stata un ispirazione per questo mio film, ed ho riportato quella mia forte dedizione nel ruolo di Margot” – prosegue – “Il cinema ora, rispetto a quello del 1969, ma anche degli anni ’90 e 2000, è molto diverso. Prima si costruivano da zero dei set meravigliosi, dei veri e propri mondi, e tutto veniva eseguito fisicamente nonostante il costo elevato. Adesso invece, questa immensa capacità creativa è andata persa, così come il valore di tutto questo. Non voglio fare il vecchio rincoglionito che rimpiange il passato, ma si tratta di un discorso molto particolare.”

 “Credo che “C’era una volta a…Hollywood”, chiuda una trilogia che comprende “Bastardi senza gloria” e “Django Unchained”. Sono un appassionato di b movie e dei film di genere. In particolare amo gli spaghetti western e dello sviluppo della tematica da parte degli italiani, i quali hanno reinventato i vari generi, mostrandoli al pubblico sotto un altro punto di vista. Basti pensare a Corbucci o Leone, hanno iniziato come critici, poi aiuto registi ed infine sono diventati registi. A me piace quella qualità lirica surreale. Il primo libro che ho letto di spaghetti western si intitolava “Spaghetti Western – L’opera della violenza”, era di un autore inglese, ed è da li che sono partito, perché mi son detto di voler fare un’opera della violenza.”

Tarantino prima di salutare, ha ringraziato dicendo che questa è stata la conferenza più intellettuale alla quale abbia mai preso parte.

“C’ERA UNA VOLTA A..HOLLYWOOD”, arriverà nei cinema il 18 settembre.

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