LAZZARO FELICE di Alice Rohrwacher

LAZZARO FELICE di Alice Rohrwacher

Alice Rohrwacher con il suo LAZZARO FELICE, dopo aver affascinato la platea del 71 Festival di Cannes ed aver ricevuto il premio per la Miglior Sceneggiatura, si prepara a stupire e scuotere le coscienze del pubblico nostrano con un racconto al quale è difficile attribuire un preciso arco temporale, la cui particolare nota malinconica del tratto favolistico sottolinea ulteriormente, e ne fa emergere, il pungente agro sapore di una realtà avvelenata e completamente assuefatta agli inganni e all’egoismo, la cui unica desolante capacità è quella di scambiare la semplice e sincera bontà d’animo altrui come segno tangibile e definitivo di stoltezza.

Un percorso di triste ed incessante degenerazione,un’analisi concreta a conferma che valori quali il rispetto e la correttezza sono ormai un irraggiungibile utopia, visto, vissuto, trasmesso e percepito sensibilmente attraverso gli innocenti occhi del giovane orfano contadino, non ancora vent’enne, Lazzaro (Adriano Tardiolo), così gentile da essere considerato uno stupido da coloro che rappresentano e considera la sua famiglia, ovvero i compagni di lavoro, a loro volta vittime inconsapevoli della Marchesa Alfonsina De Luna (Nicoletta Braschi), per la quale lavorano come mezzadri nella tenuta dell’Inviolata.

In questa arcaica ed umiliante condizione di vita, causata dalle menzogne della ricca Signora, e dall’ingenua ignoranza dei braccianti, Lazzaro conoscerà per la prima il sentimento dell’amicizia, attraverso il legame con il figlio viziato dalla fervida immaginazione di quest’ultima, Tancredi (Luca Chikovani).

L’affetto provato spingerà il ragazzo dalla surreale, ed a volte ultraterrena, aurea ad intraprendere, una volta terminato l’ingiusto sfruttamento da parte della nobile, la ricerca dell’amico, avventurandosi nelle insidie della città, e scontrandosi inevitabilmente con l’aridità del labile animo totale preda del freddo rancore circostante.

Lazzaro Felice, è un’opera in grado di travolgere ed avvolgere nel profondo lo spettatore, ponendolo di fronte, attraverso le innumerevoli metafore e simbolismi, all’eterna lotta tra il bene e il male, le cui logoranti sofferenze sono racchiuse ed espresse nelle sommesse, riservate e composte lacrime di Lazzaro, smarrito e stremato nel toccare e subire continuamente le insensate brutali vessazioni, facendo riflettere sulla mancata voglia degli uomini, persi nel degradante declino interiore e nel rimpianto di ciò che poteva essere se solo si avesse avuto il coraggio, e la maturità, di accettare, tollerare ed ascoltare, di ricominciare a credere in se stessi e concedere fiducia al prossimo.

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