Final Portrait – Incontro Stampa

Final Portrait – Incontro Stampa

Stanley Tucci dedica la sua quinta pellicola: Final Portrait, all’artista italo svizzero Alberto Giacometti, raccontando il particolare rapporto di amicizia tra il maestro e lo scrittore americano, amante dell’arte, James Lord, il quale accettò, incuriosito, di posare per lui, entrando nel mondo in cui genialità e frustrazione, viaggiano di pari passo fino a fondersi dando vita alle inestimabili opere, e riportato nel libro, scritto dal medesimo Lord, da cui è stato tratto fedelmente il film.

L’arte di essere amici, un percorso estremamente introspettivo che elegantemente, e con raffinata discrezione, mostra, facendone percepire, il piccolo miracolo tormentato della creazione vissuto dall’avventurosa mente di Giacometti.

In occasione della proiezione e presentazione romana, abbiamo incontrato il regista/attore, autore anche della sceneggiatura Stanley Tucci, uomo distinto dall’impeccabile, innegabile, affascinante, portamento.

“Io non credo effettivamente nei biopic, molto spesso risultano essere una serie infinita di fatti e un esposizione lineare, quasi cronologica, di eventi intorno alla vita di un artista, che vengono condensati in due ore, trovo molto più interessante invece concentrare l’attenzione su un episodio, o un periodo ristretto, per andare ad immergersi, e scoprire, l’essenza stessa della persona, e  spesso è proprio il dettaglio che ci da il quadro completo ed una valore universale al racconto.”

Con questa prima risposta e affermazione ha inizio il piacevole incontro.

-Non ha avuto la tentazione di interpretarlo lei stesso?-

“Si ci ho pensato, ma ho escluso questa soluzione perchè  mi sono convinto che il film ne avrebbe sofferto nel suo insieme, poiché è uno sforzo enorme quello di dirigere se stessi, e inevitabilmente    la tensione risulta divisa e non sufficientemente concentrata sul film.”

-Come è cambiato, dopo questa esperienza, il suo rapporto con il mondo dell’arte?-

“Io vengo da una famiglia di artisti in quanto mio padre stesso lo era, e sono cresciuto osservandolo lavorare, abbiamo viaggiato molto in Italia e vissuto un anno a Firenze, periodo che ha coinciso con la scoperta in particolare, da parte mia, del Rinascimento, un insegnamento, questo, che rimane accompagnandoti per tutta la vita influenzando il tuo gusto estetico. Ritengo che Giacometti sia uno degli artisti  più  interessanti per quello che è riuscito a compiere e il libro “Un Ritratto di Giacometti” è quello che meglio esprime il suo processo artistico.”

-Come è riuscito a  stabilire il giusto equilibrio tra le due opposte personalità di Geoffrey Rush e  Giacometti?-

“Geoffrey Rush ha avuto tempo due anni per fare ricerche e documentarsi immergendosi nel ruolo, mentre noi stavamo cercando di montare la produzione e cercare i vari finanziamenti per realizzare il film. Una settimana prima di iniziare abbiamo provato come in una piece teatrale, naturalmente la sceneggiatura era molto scritta e gran parte dei dialoghi in seguito sono stati sfrondati, per permettere alla fisicità di emergere, ho lasciato molta libertà a Goffrey, la cui maggior difficoltà è stata quella di sentirsi a proprio agio negli eccessi di rabbia tipici di Giacometti e nel dipingere.”

Che idea ha del rapporto tra Giacometti e Lord?-

“L’idea che mi sono fatto è quella che ho espresso e si vede  nel film, tra l’altro ho auto modo  di parlare con tre modelli, all’epoca poco più che adolescenti, di Giacometti, i quali  mi  hanno detto tutti la stessa cosa, che inizialmente era una persona affabile parlava molto, poi nel momento i cui iniziava a lavorare cadeva in depressione, con i conseguenti eccessi di rabbia.”

-Cosa pensa di Giacometti?-

“Era un uomo che viveva in completa libertà, era sincero ed egoista, con una dedizione totale per il lavoro e nessuna etica nei confronti della famiglia e della propria donna, naturalmente per vivere così aveva bisogno di circondarsi di persone che potessero permettergli tale comportamento.  Ma personalmente mi interessava il processo creativo e la capacità dell’artista di proiettarsi nel  futuro.”

-Come attore partecipa a diversi grandi Blockbuster, mentre come regista fa passare molto tempo tra un film e l’altro come mai?-

“Vero, possono passare anche 8 anni, i motivi sono differenti, non è facile trovare i soldi per una produzione, e quando faccio un mio film, voglio essere sicuro di poter raccontare la storia esattamente come la voglio. Per quanto riguarda la mia carriera di attore, alterno vari generi anche perché altrimenti non avrei si sodi per far magiare i mei 5 figli e pagare il mutuo, in ogni caso tengo a precisare che sono divertenti, ti danno l’opportunità di lavorare con bravi colleghi e grandi troupe.  Tutto fa esperienza, non si butta via nulla.”

Tucci, in conclusione, spiega la scelta di usare molta camera a mano in modo da dare movimento alle immagine statiche di un pittore che osserva il proprio modello e lo dipinge, e  dell’equilibrio delle musiche composte da Eyan Lurie, autore delle colonne sonore di Johnny Stecchino, Il Piccolo Diavolo e Il Mostro per Roberto  Benigni.

Final Portrait, l’arte essere amici arriverà nelle sale l’8 febbraio 2018.

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